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Aletto
15-01-2023, 11:25
Animalità
o più propriamente, «di ciò che si chiama, con un singolare generale che mi ha sempre scioccato, l’Animale» (Deridda) implica il pensiero filosofico.

“L’animale, che parola! Una parola l’animale, un nome che gli uomini hanno istituito, un nome che essi si sono presi il diritto e l’autorità di dare all’altro vivente.” (Deridda)
La parola “animale” focalizza e confina l’esistenza all’interno del pensare, e alla fine si ripiega su se stesso, sul nostro pensare, sul nostro pensiero e, cartesianamente, su noi stessi.
L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano; per questo l’animale non esiste, perché non esiste questo chimerico vivente che pretende di riunire in sé tutti gli altri viventi.
L’animale è letteralmente una parola, una entità linguistica.
Ma l’animalità mi segue e “io” faccio finta di non vederla. In questo sistema, l’animale guarda l’uomo ma l’animale non si pronuncia perché egli E’ la sua vita.

La cosa più importante non è vederli, ma essere visti. Se il “qualsiasi” ti guarda, tutto cambia, perché sei tenuto a dar conto a un soggetto prima inesistente o esistente solo linguisticamente.

Se mi guarda esiste.

È il logos (la parola) che traccia un solco profondo fra gli animali umani e i viventi non umani, come all’interno della stessa specie umana. Lo schiavo, il barbaro, la donna, il bambino non appartengono alla sfera pubblica perché non hanno il logos, perciò sono privi di quella libertà che emancipa dalla natura ed eleva l’uomo alla politica e alla scelta etica fra il bene e il male.
E’ tramite l’assenza del logos che mettiamo una barriera.
E quando guardandoli (e amandoli) pensiamo la famosa frase “gli manca solo la parola” è come se li accettassimo nonostante quell’ handicap che li rende inferiori e mettiamo l’accento sulla diversità non del tutto accettata.
Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive.

“La soggettività è uno stare nel mondo, e affrontare problemi comuni alla condizione dell’essere animali – alimentarsi, apprendere, difendersi, ecc. – ma farlo in un modo specifico. Il biocentrismo è il riconoscere il policentrismo dell’essere animali, l’idea che ogni specie e ogni individuo declina in modo singolare questo stare nel mondo e affrontare i problemi della condizione animale. Ecco allora che l’essere animale è qualcosa che “mi riguarda” e che “posso capire”. (R.Marchesini)

In quel “posso capire” c’è l’incontro con l’altro che è simile, e non uguale.
(tratto dalla tesi di laurea Ontologia dell'animalità di Nicola Zengiaro)

Cosa è successo agli animali mentre ci pensavamo come altro da loro? Quello che abbiamo fatto agli animali, non solo è gravissimo, ma è eterno. Creiamo la vita per distruggerla. Inoltre, il gesto che dipinge la più grave e ignorata delle sofferenze, è il "fondamento della miseria" e ciò che ricerchiamo quando, con altrettanta miseria, discriminiamo anche gli animali umani. (L. Caffo)

"Gli animali sono fra noi, la nostra vita è impossibile senza la loro, eppure non riusciamo davvero a vederli. Siamo doppiamente ciechi: non sappiamo quasi niente dell’animalità degli animali non umani e ignoriamo la nostra. Sinora la filosofia si è limitata a tracciare il confine fra loro, gli animali, e noi, gli umani. Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi: non parlano, non pensano, non ridono e così via. È come cercare di capire l’Homo sapiens chiedendosi se abbia o no piume o branchie.

L’animalità non riguarda i gatti le scimmie ecc, ma riguarda noi e il corpo che siamo col quale avviene il primissimo incontro con la nostra animalità. E la prima richiesta che ci viene fatta, guarda caso, è mettere il nostro corpo in gabbia, la gabbia degli umani. Abbiamo anche potere sul nostro corpo: lo facciamo ingrassare, dimagrire, se non ci piace gli cambiamo i pezzi, decidiamo di uccidere o non uccicere. Lo trattiamo esattamente come trattiamo gli animali non umani. Finché ci sarà un soggetto che tratta sé stesso così, inevitabilmente tratterà allo stesso modo tutto l’ambiente che lo circonda.
Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” (F.Cimatti)
La riflessione di Cimatti sull’animalità per me è stata una pugnalata.

Grazie per chi ha letto.

VEI-6 Vesuvius
15-01-2023, 17:34
Io sapevo che gli animali non umani li chiamano 'bestie'.
Lo dice lo stesso Treccani. E' un vocabolo che uso spesso anche io per chiarezza e non certo con intento negativo.
Il realtà il confine è più labile, se si pensa agli ominidi e poi alle scimmie, in particolare lo chimpanzè ed il cappuccino (quest'ultimo non è un ominide) che sono entrati nell'età della pietra, ed alcuni tribù di chimpanzè stanno adottando l'andatura bipede.

Le filosofie sul rapporto uomo-bestie ecc ecc, a volte mi sembrano tutto un copia-incolla. E allora mi piace fare riflessioni mie, che si discostano da quello già sentito (ma non dev'essere necessariamente l'opposto).

Aletto
15-01-2023, 20:41
.....
Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive. ......

Scusate, stamattina nella fretta questo pensiero è rimasto sospeso, impigliato a word e non me ne sono accorta. Questo è il pensiero finito:

"Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti, delle corrispondenze attraverso gli sguardi che ricoprono l’animale della propria dignità si risveglia quell’apertura che anela alla vita stessa. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive.


E ho dimenticato anche di scrivere che il tutto parte dal testo di J. Deridda L'animale che dunque sono, nel quale è descritto il folgorante momento in cui lui nudo in bagno si accorge che la sua gatta lo stava guardando, e lui stava guardando anche sé stesso, un'animalità che gli apparteneva ma che gli era sconosciuta.
Da qui, durante la banale quotidianità, nasce la sua riflessione su un argomento che non ha facili definizioni: l'animalità.

leucio
16-01-2023, 03:56
Sono stato due ore come un cretino con la penna in mano a cercare di organizzare una scaletta per stendere in forma decente un flusso di riflessioni, idee, citazioni e commenti. Niente da fare, così sono partito all’assalto, lasciando che le idee fluissero liberamente. Un’altra oretta buona l’ho passata a digitare furiosamente direttamente sul forum, e alla fine è andato tutto perduto. Non so se è un segno del destino, ma piuttosto che trascinarmi per tutta la giornata di domani il nervosismo per aver rinviato alle calende greche l’urgenza di scrivere, preferisco rischiare la nottata, e ricomincio daccapo usando il sistema di Aletto: prima si compone in pages, e poi si copincolla in cinque minuti sul forum. Una tazzina di caffè, come ai vecchi tempi, e si (ri)parte.
Si parte con una domanda semplice semplice: perché è così difficile riconoscere la nostra animalità? Per quali motivi un discorso del genere resta da sempre confinato all’interno di una cerchia ristretta di accademici, e non esce da lì, non contribuisce a determinare un’analisi, una prospettiva diversa nel dibattito culturale (e politico)?
Forse perché ‘‘fabula de te narratur’’, in realtà si parla proprio di noi, delle nostre vite, della natura predatoria, sempre più vorace ed insaziabile, che le nostre società hanno assunto col passare dei secoli, fino ad arrivare al punto che la crescita illimitata di ricchezze e profitti a danno del pianeta e di tutte le forme di vita presenti su di esso stanno mettendo in discussione, in un tempo non troppo lontano, la stessa sopravvivenza di molte specie, compresa la nostra. Si profila uno scenario in cui alla vecchia contraddizione tra capitale e lavoro, che ha caratterizzato lo scontro politico per tutto il secolo breve, si affianca una contraddizione ancora più radicale, che pone sempre più in antitesi lo sviluppo dei sistemi economici che abbiamo inventato per sopravvivere e crescere e la nostra stessa vita. Sistemi economici che si sono strutturati in società, in apparati di potere che del controllo dei corpi e delle relazioni sociali hanno fatto un’arte raffinatissima.
Qui può tornare utile quello che sosteneva un pensatore che con l’etologia non aveva molto a che vedere, ovvero Michel Foucault: è attraverso la creazione di stigmi infamanti che si avviano le procedure di controllo ed esclusione, di negazione della dignità di interi gruppi delle società umane. La barriera del logos di cui parla con rara efficacia Aletto, non è altro che una ben codificata procedura ‘‘burocratica’’ di reificazione (trasformazione di un soggetto in oggetto) e di annullamento. In questo senso lo stigma, il marchio animale/animalesco evoca potentemente le terribili forze dell’irrazionale, gli incubi ed i terrori ancora impiantati negli strati più profondi del nostro cervello, che ci derivano dai nostri primi progenitori su questo pianeta. La ferocia, la violenza incontrollabile nelle sue forme più assolute. Ma nelle stesse aree del cervello in cui hanno sede questi ricordi profondi, metabolizzati nella nostra dimensione istintiva, albergano anche altre caratteristiche: il prendersi cura, l’empatia, la solidarietà. E ancora, quelle forme di relazione altissime che prescindono dal logos, come la comunicazione tra due innamorati, che possono stare per un tempo infinito dicendosi tutto con lo sguardo, con un sorriso, senza emettere alcun suono, ascoltando le vibrazioni ed i tremori appena accennati del corpo senza magari nemmeno toccarsi, o al massimo sfiorandosi appena. Quelle forme che, sublimate dalla trasposizione artistica, noi consideriamo come fra le più alte espressioni della nostra diversità di specie, fanno invece parte, a pieno titolo, del nostro bagaglio animale.
E allora, forse è ora di pensare davvero a fare pace con noi stessi, con la nostra natura. Ma non la pace ecumenica, il classico ‘‘volemose bene’’ concluso con una bicchierata. Si tratta di capovolgere, destrutturare alcune idee su di noi, sul nostro stare al mondo, operando alcuni radicali cambi di paradigma.
Osando la follia dell’utopia, di una nuova ‘‘onnilateralità’’ del genere umano che investa e ridisegni le relazioni tra i membri della nostra specie e l’insieme delle forme di vita che popolano il pianeta. Almeno come utopia, come tensione ideale verso la direzione della ricostruzione di un equilibrio tutto da inventare.
Sapendo che purtroppo la situazione concreta, reale, in cui ci troviamo ad agire, da cui necessariamente dobbiamo partire, è quella descritta dal prof. Cimatti. L’analisi è dura, spietata ma precisa. ‘‘Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” Da spezzare le ginocchia a un rinoceronte, è vero. Ma se non si comincia, con fatica e gioia, con dolore ed entusiasmo, la meta non sarà raggiunta mai.
Mi fermo qui. Il senso è più o meno lo stesso di quello che avevo sanguinosamente scritto. Qualcosa è saltato, qualcos’altro non ricordo bene come l’avevo inserito, e ho preferito lasciar andare così. Ora, ‘‘me cala la palpebra’’, e di brutto.

Aletto
16-01-2023, 15:35
Quando scrivo su argomenti per me importanti e forse anche per altri utenti, metto sempre prima su word per evitare il più possibile di scrivere boiate, poi copio e incollo.

@ leucio

“Per quali motivi un discorso del genere resta da sempre confinato all’interno di una cerchia ristretta di accademici, e non esce da lì, non contribuisce a determinare un’analisi, una prospettiva diversa nel dibattito culturale (e politico)?”

Forse perché gli accademici per mestiere devono porsi domande che noi non ci poniamo per far progredire, anche stocasticamente -ma non lo penso realmente-, il pensiero umano che è fonte di cultura condivisa. L’uomo è un animale la cui società si basa anche sulla condivisione di cultura che inevitabilmente, con l’aumento della popolazione, crea bolle.

Faccio un esempio, direi, primordiale di trasmissione di cultura: alcuni altri animali vedono in un oggetto un possibile strumento e lo usano ma senza modificarlo trasmettendo ai propri simili cultura. L’uomo invece partendo da un possibile strumento, lo modifica perfezionandone l’uso e lo produce in quantità quasi industriali per quei tempi (quante selci sapientemente forgiate o ossa adatte per cucire abbiamo trovato), e lo usa anche come merce di scambio implementando ricchezza e trasmettendo cultura. L’uomo è un animale diverso che fin da allora traeva profitti dalla trasformazione di materiale grezzo in prodotto finito. Per alcuni paleoantropologi questo è un passaggio importante che ci definisce.

“La barriera del logos non è altro che una ben codificata procedura ‘‘burocratica’’ di reificazione (trasformazione di un soggetto in oggetto)”

Per me è voracità di una specie che da preda si è trasformata in predatore infallibile di sé stessa. Quel logos negato diventa arma, lo vediamo nella frase comune “non hai voce in capitolo”, e in seguito condanna al silenzio. Il logos rivendicato diventa rivoluzione.
Il logos, negli animali anche in assenza della sua manifestazione letterale, può diventare rivolta e aggressione. In questo momento sto pensando a cani e gatti che scappano, cavalli che rifiutano di superare un ostacolo, gli animali nei circhi che fuggono o aggrediscono: tutto riesce ad avvenire senza logos pur di essere sé stessi.

“Tutto il gran parlare che si fa degli animali, anche oggi, da parte di etologi, ecologisti, filosofi e scrittori, scienziati e poeti, è soprattutto un modo più o meno indiretto, più o meno consapevole, per parlare di noi, dell’animale che parla. Spesso, peraltro, il benemerito animalismo non parla propriamente degli animali, delle loro vite, ma soprattutto di come pensiamo che sia la loro vita, le loro emozioni, la loro mente. Per questa ragione uno dei pochissimi filosofi che abbia realmente provato a pensare la questione dell’animalità, J. Deridda, sostiene che l’unico animale che conosciamo è l’animot, una parola inventata che fonde animaux (animale) e mot (parola). L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano.” Cit: Filosofia dell’animalità (F.Cimatti)

@VEI-6
Il bipedismo si è presentato più volte durante l’evoluzione, e Homo, bipede, è comparso circa 2,5 milioni di anni fa preceduto da altre specie che potevano sia camminare che spostarsi sugli alberi usando gli arti superiori. Orrorin turgenensis, vissuto 6 milioni di anni fa presentava infatti un’articolazione femore-anca adatta all’andatura eretta senza quel tipico dondolare dei quadrumani a destra e sinistra. Il suo femore differisce da quello delle scimmie e dell'Homo e assomiglia molto a quello dell'Australopithecus e del Paranthropus , indicandoci che era bipede ma non è più strettamente imparentato con l' Homo che con l' Australopithecus .
Per essere bipedi, per valutare se quello scheletro era di un bipede, c’è bisogno soprattutto
1) di una particolare articolazione femore-anca,
2) che il forame occipitale sia esattamente alla base del cranio, mentre le scimmie antropomorfe lo hanno leggermente spostato all’indietro. Quel “leggermente spostato” per spostarsi in avanti ha bisogno di centinaia di migliaia di anni nonché, poi, di una speciazione geografica.
VEI, è tutto già successo portando alcune specie in un vicolo cieco dell’evoluzione ed altre no.
Come tempistica siamo pronti ad accogliere un nuovo Terminator, ma l’evoluzione ha tempi lunghissimi ed esiti incerti. Speriamo sia la volta buona.

leucio
18-01-2023, 00:20
Ho aspettato un bel pò prima di scrivere ancora, anche se morivo dalla voglia di farlo. Speravo che nel frattempo qualche altro forumista avesse aggiunto ‘‘carne a cuocere’’. Invece, niente.
Meglio rischiare di trasformare questa discussione in un ‘‘duetto con Aletto’’ :) (il giochino richiama l’effetto sonoro di ‘‘rumble in the jungle’’, ma ovviamente non ha nulla a che vedere con il match Alì-Foreman del ’74 a Kinsasha), che lasciare che si spenga in un vuoto pneumatico di indifferenza. Non è giusto che ogni volta che si apre uno spazio di discussione su questioni appena appena più impegnative della soluzione di un problema clinico o comportamentale, cali la mannaia di un'indifferenza raggelante. Come se questo forum non fosse uno spazio, un'occasione per una crescita anche culturale di tutti i suoi iscritti. A partire dal sottoscritto, sia ben chiaro.
Nelle regioni cerebrali del cervello primordiale, quello che viene chiamato il ‘‘cervello animale’’, hanno sede i nostri incubi più profondi e terrificanti, le paure ancestrali scolpite a lettere di fuoco nel patrimonio genetico che ci caratterizza come specie. In quelle stesse regioni trovano però la loro origine anche pulsioni, reazioni altrettanto istintive, ‘‘animali’’, quali l’empatia, la solidarietà, il senso di giustizia. Il nostro cervello animale, quindi, non è affatto la sentina di tutti i mali, il luogo della perdizione, la zavorra che ci impedisce di assurgere a forme ancora più elevate di conoscenza. E’ quello che ci tiene, bene o male, ancorati alle altre specie viventi, perché ci porta in dote l’eredità di quello che abbiamo affrontato in un lontanissimo ieri, quando il nostro livello di sviluppo psicofisico ci rendeva molto più simili a loro, gli animali non parlanti, privi del logos, di quanto non lo siamo oggi.
E’ una parte del cervello che conosciamo poco e siamo capaci di usare ancor meno in modo consapevole. Ma è in noi, siamo noi. La nostra animalità è tutta racchiusa nelle potenzialità infinite di questa parte della nostra mente, ed è da questo punto che è possibile partire per un viaggio favoloso che ci porti a riprenderci tutta intera la dignità e la capacità di vivere completamente la nostra natura: il logos e i quanti da un lato, l’empatia, la comunicazione non verbale, la marea impetuosa dei sentimenti dall’altro. Forse, i fondamenti di una nuova onnilateralità.
Non a caso (forse), nell’Orestiade, il mito classico della nascita della potenza dell’antica Grecia messo in scena da Eschilo, Atene diventa quel simbolo di arte, cultura e potenza militare che tutti abbiamo studiato a scuola, quando accoglie come sue divinità protettrici la dea della razionalità (Pallade Atena) e le Erinni, le temibili figlie della Notte e del fiume infernale Acheronte, le divinità di un antico mondo ancestrale. E' questo equilibrio che segna l'inizio di un'ascesa irrefrenabile, che farà della capitale dell'Attica la Signora del Mediterraneo fino all'avvento della potenza di Roma antica.
Messa così sembra facile, è vero; sembra un comiziaccio da assemblea studentesca degli anni ’70 (arte in cui eccellevo, :) lo confesso). Sono necessari studi molto più approfonditi, sofferti e difficili di quanto io sia disposto ad immaginare. Accanto a questa indispensabile attività di ricerca, però, conta anche qualcosa la nostra capacità di sperimentare, nella piccola pratica del rapporto quotidiano con i nostri gatti, l’incontro tra uguali, spogliandoci della nostra boria -mi verrebbe da dire- di primi tra i primati.
Ascolto, vero: re Feisal Saud, fondatore della dinastia che governa l’Arabia che da lui si chiama saudita, diceva che Maometto ci ha dato due orecchie ed una sola bocca per ascoltare di più e parlare di meno (ma nulla ha detto sullo scrivere :)). Osservazione, cioè guardare E vedere insieme, con il cuore aperto come il carburatore di una Formula 1 lanciata a tutta velocità, e cuore e cervello che lavorano come due pistoni. E desiderio, desiderio infinito, appuntito e giocoso di comunicare cercando un terreno comune, un’intesa, un rituale sempre nuovo da mettere in scena, sapendo che siamo sempre alla pari, al 50%, e quindi tante volte è da lui, dal nostro gatto, dalla sua infinita sapienza che viene la soluzione, il gesto che consente di spalancare le porte di una nuova piccola conquista di comprensione. Usando certo anche le nostre risorse di specie, ma senza pensare mai che siano le uniche possibili. E soprattutto, quindi, la sincera disponibilità ad imparare da lui.
Cosa capisce il gatto quando gli parliamo? Forse il nostro stato d’animo, il senso generale, l’emozione che vogliamo trasmettergli. Se io leggessi questo papiello ad Averno, lui sbadiglierebbe molto prima di voi, e se ne andrebbe a giocare con le sue scatole di cartone o fuori al balcone. Se gli dico la parola pappa, deve essere già attento di suo per reagire predisponendosi al pasto, ma se gli canticchio la canzoncina con cui quando era piccolino gli annunciavo che era giunta l’ora di mangiare, lui qualsiasi cosa stia facendo corre sul tavolo starnazzando come un paperottolo pavloviano, e comincia il rituale della pappa, sempre vario e troppo lungo da raccontare.

Aletto
18-01-2023, 10:39
Se anche il logos diventa barriera linguistica, non c’è dia-logo, che ci farebbe arrivare a una verità condivisa ma da rimettere sempre in discussione.
Se non c’è dialogo si può parlare, come dici tu, con la zona limbica del cervello che però non è detto riesca a giungere ad una condivisione di intenti perché quello è il regno delle sacrosante emozioni che se non coincidono con quelle dell’interlocutore bloccano anche quella via di comunicazione.
In un momento di emozioni negative, ma di vitale importanza come nervosismo, preoccupazione o paura sarò in grado di non impedirmi l’accesso alle aree elaborative che stanno al di là di queste?
Quando il desiderio è sopraffatto dalla barriera dell’indifferenza o dalla paura di mettermi in gioco questa assenza o presenza mi impedirà di scendere in campo.

Ma queste le riconosco come barriere?
Se non vedo le barriere, anche quelle quotidiane come ad es. il pregiudizio, non esco allo scoperto e resto confinata.

VEI-6, che ringrazio, se non sbaglio aveva scritto di preferire di avere idee sue, ma non le ha condivise.

La condivisione dialogica con i nostri gatti è senz’altro di tipo emotivo, ma di che tipo emotività? E se li trasformiamo inconsapevolmente nel nostro alter ego? Se diventano scaldini nei quali ci rifugiamo? In questi casi c’è un grande ostacolo, una barriera che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ed il pensiero non riesce ad andare oltre, perché non siamo Leopardi.
Non è detto che tutti abbiano studiato l’Oresteide, e non è detto che tutti abbiano pensato “fammi vedere di cosa si tratta”. Come non è detto che tutti sappiano cosa sia il logos.

Forse un thread su AI chatGPT sarebbe stato più ben accolto, ma non lo potrei scrivere perché AI la vedo confinata nel determinismo.

Link ad un brano che unisce il millenario digeridoo (e che roba è?), uno strumento musicale a fiato degli aborigeni australiani -si vede ogni tanto nel video- molto difficile da suonare perché va suonato sia durante l'inspirazione che durante l'espirazione, alla musica elettronica contemporanea di Aphex Twin.
Il video ci catapulta tra gli animali non umani del bush australiano e i più probabili rappresentanti di homo sapiens così come era.
https://www.youtube.com/watch?v=AAkFBQ6sIcc
-

leucio
18-01-2023, 19:09
La discussione si fa sempre più avvincente, e giunge ad un punto davvero interessante. In questo momento, non ho il tempo materiale per verificare alcune ''ideuzze" che mi frullano in testa, echi di vecchie letture sepolte da decenni.
Voglio verificare bene alcune cose prima di impostare una nuova risposta, per evitare di fare la figura dell'arronzone. Insomma, non voglio perdermi l'occasione di discutere per bene, in modo più accurato con te. Lo meriti, lo meritano la passione e l'intelligenza che metti nelle cose che scrivi. Permettimi di prendermi un piccolo "time out", prima di riprendere a postare su questo thread :).
Idealmente, ti abbraccio forte

Aletto
18-01-2023, 21:19
Forse sembro intelligente perché ci sono argomenti che mi interessano più di altri, un argomento giuridico o finanziario per me sarebbero un supplizio :):)

VEI-6 Vesuvius
19-01-2023, 14:23
Per le idee, mi sono abituata a non condividerle tanto visto il clima di intolleranza che c'è negli ultimi tempi (Facebook, che ormai guardo solo ogni 10 giorni, lo dimostra). La gente ti toglie il saluto magari perchè dici di non credere al cambiamento climatico antropico (e difatti ho già espresso quest'opinione qui, scoprendo con gioia di trovarmi in un forum tollerante nella media, nessuno mi ha attaccato per questo).
La mia opinione sull,argomento del topic vorrei esprimerla con calma, con un bel copia incolla di un testo scritto in precedenza, evitando la foga col rischio di dire solo 1l 20% del voluto o di limitarmi al 'si, però...'

Aletto
19-01-2023, 15:01
Per le idee, mi sono abituata a non condividerle tanto visto il clima di intolleranza che c'è negli ultimi tempi (Facebook, che ormai guardo solo ogni 10 giorni, lo dimostra). La gente ti toglie il saluto magari perchè dici di non credere al cambiamento climatico antropico (e difatti ho già espresso quest'opinione qui, scoprendo con gioia di trovarmi in un forum tollerante nella media, nessuno mi ha attaccato per questo).
La mia opinione sull,argomento del topic vorrei esprimerla con calma, con un bel copia incolla di un testo scritto in precedenza, evitando la foga col rischio di dire solo 1l 20% del voluto o di limitarmi al 'si, però...'

Il dialogo dovrebbe avere come finalità un arricchimento reciproco per riflettere e rimettersi in discussione, non per convincere. fb ha pochissime pagine dove questo può avvenire. Anzi direi che non è questo il suo scopo.

leucio
22-01-2023, 17:22
@ Aletto
Il time out che mi voglio prendere riguarda un aspetto per me intrigante come il logos. Ho bisogno di rinfrescare alcune letture, una in particolare di un libro che non ricordavo di aver prestato (L'ordine del discorso, di Foucault), e non ricordo a chi. Dispersi da tempo immemore gli appunti che avevo preso (per studio personale, non altro), l'ho dovuto ordinare, anzi l'ho voluto ordinare, ed è la prima volta che decido di rimettere mano alle "sudate carte": se vuoi, adesso ho un piccolo debito culturale con te, di quei debiti che è bello avere e riconoscere, senza troppe cerimonie. :)
La comunicazione limbica è, come dici tu, il regno delle emozioni e delle passioni, degli slanci e delle pulsioni di entrambi gli individui che comunicano (umani e non). Per questo è una comunicazione essenzialmente individuale (intendo individuale = coppia di due individui), determinata sempre in primis dalla disponibilità e dal desiderio nei suoi esiti.
Voglio dire che dipende non solo da quali emozioni vivi, ma anche dalla gerarchia, dal mix che assumono nel rapporto con l'altro individuo. E dulcis in fundo, dalla capacità del comunicante umano di elaborare correttamente i dati dell'esperienza per cercare di inventare una propria efficace comunicazione "in divenire" con il comunicante non umano
Decisamente non un modello generalizzabile.
Ma lo stato dell'arte, fra studi scientifici, (in)disponibilità altezzosa di specie, quali altri strumenti possibili, se non il ricorso al forme e strumenti della nostra "animalità profonda" ci offrono per una diversa modalità di comunicazione con l'animale-altro-da noi ?
In realtà, a me sembra che a noi (come specie) non interessi affatto.

leucio
22-01-2023, 17:39
@ Aletto

Dimenticavo, a proposito di comunicazione limbiale, questa è la musica che andava mentre scrivevo. In fondo, ne fa parte, in qualche modo :).

https://youtu.be/AGPx-ekqZEo

Considerala, se vuoi, una sorta di testimonianza di regressione indotta dalla convivenza (e dalla comunicazione?) con un fratellino felino (quale Averno è per me).
:)

Aletto
23-01-2023, 15:57
@ leucio
Ma lo stato dell'arte, fra studi scientifici, (in)disponibilità altezzosa di specie, quali altri strumenti possibili, se non il ricorso al forme e strumenti della nostra "animalità profonda" ci offrono per una diversa modalità di comunicazione con l'animale-altro-da noi ?
In realtà, a me sembra che a noi (come specie) non interessi affatto.

E’ su queste due ultime frasi che si imperniano le mie considerazioni, un po’ alla rifusa.

Il cosiddetto grande nemico degli animali e dell’animalità era Cartesio che affermò che qualunque umano, seppure poco o affatto intelligente poteva parlare e farsi capire, mentre l’animale no.
E l’animalità serviva a garantire la specialità dell’umano e non provò neppure ad infrangere questa barriera caduta definitivamente con Darwin dalla cui teoria emerge che noi non siamo speciali ma specifici.
Siamo animali ma di un altro tipo, di un’altra specie. Molti filosofi e scienziati non parlano di animalità, perché è più semplice dire chi non siamo.

Ma il logos esiste? O riconosciamo come esistente solo il nostro di logos?
E le lingue diverse?
Sono tutte espressioni di logos sconosciuto tanto quanto gli infrasuoni emessi da molte specie non umane e che usano abitualmente per comunicare e *dire* a tutti gli effetti dove sono per potersi rintracciare, di cosa hanno bisogno, cosa sta succedendo, in pratica aiuta e esprime socialità per chi vive in società organizzate, ma in questo concetto vorrei includere anche il gatto, perché quando il gatto -pur non formando società organizzate-, segnala la sua presenza con feromoni, sta comunicando senza logos con la sua specie che non può far altro se non recepire il messaggio; ma il primo gatto ha manifestato una mente, il secondo gatto recepisce senza mente perché non ha altre possibilità finché…..finché non trasgredisce il messaggio emanato dal primo, e questa sarebbe una risposta senza logos.

Invece i logoi infrasuonici (non ricordo il nominativo plurale corretto) sono emessi a diverse frequenze di infrasuoni, e diversa ampiezza. Poi vabbè ci sono gli ultrasuoni, ma con quelli abbiamo più dimestichezza pur non potendoli ascoltare.
Di nuovo, se circoscriviamo il logos (già limitato in sé) alla prerogativa dell’animot, pecchiamo di antropocentrismo e logocentrismo, e restiamo nel dualismo uomo e non uomo. Se Derrida dice sull’animalità: io sono l’animot, quando si sofferma sullo sguardo della sua gatta che lo sta guardando avvertendo il proprio disagio, e pensa -più o meno- nessuno mi ha mai raccontato cosa significa essere guardato da un animale e superare questo disagio di essere guardato nudo dalla gatta.

Il problema dell’animalità è ribaltato per la prima volta in forma chiara e Derrida si rende conto che la parola animale è una trappola che ci divide dagli altri animali e ci mette in ordine gerarchico al primo posto. Nella sua mente prende forma una tassonomia classica ma dal punto di vista dell’animale che lo sta guardando. Il fulcro non è più l’umano ma il non umano che ci potrebbe classificare, il non umano che tuttora noi considerandoci soggetti decidiamo dove mettere, che farne, se mangiarlo o no, se castrarlo o no, se salvarlo ecc ecc.
Siamo molto ingenui se pensiamo che gli altri animali siano privi di logos: come avrebbero potuto sopravvivere senza comunicare gli esseri viventi le cui specie stanno sulla faccia della terra milioni e milioni di anni prima di noi? Comunicano per vivere sopravvivere con modalità diverse dalle nostre. Quindi quando loro comunicano ma il nostro orecchio non percepisce quelle frequenze, non significa che non si stiano trasmettendo informazioni, il che è diverso dal dire che non hanno il logos solo perché il nostro orecchio non lo percepisce.

Qualche giorno fa vedevo un programma in cui si parlava di comunicazione animale.
Una biologa ha passato 15 anni di studi sulla comunicazione tra le balene, poi è andata in africa ed improvvisamente un giorno, in zone dove erano presenti gli elefanti che non vedeva, il suo orecchio allenato ha percepito non un suono ma un insieme di onde che sbattevano contro i suoi timpani. Ha registrato, ha provato ad associare col computer quelle onde con quelle delle balene ricavandone il linguaggio usato dagli elefanti nell’infrasuono. Tutte quelle modalità di logos sono trasmissione di emozioni ed intenti che noi non possiamo utilizzare.

Gli animali tra loro dialogano, ma non possiamo e dobbiamo accomunare il loro dialogo al nostro perché il linguaggio è diverso e non dovremmo immettere anche in questo caso una gerarchia, quella delle differenze di linguaggio, altrimenti ci risiamo daccapo col noi e loro. Dire che A è diverso da B non significa dire che A è meglio o peggio di B. Significa dare valore e dignità ad A in quanto A e a B in quanto B. Proviamo a mettere in atto questo pensiero e ci renderemo conto di quanto sia difficile non usare la parola animale (che contiene tutti gli animali) e che, stringi stringi, questa parola pensa al posto nostro, e quindi pensa automaticamente a tutto il già pensato in proposito.

L’animalità è sia l’altro da me che l’altro con me, è un po’ come l’elettrone della fisica quantistica che è sia lì che qui senza dividersi e senza riunirsi.

Poi il logos:
Gli manca solo la parola: perché quello che ha non basta? E poi non è vero che gli manca la parola

Nella foto Derrida e la gatta
https://i.pinimg.com/474x/aa/34/eb/aa34ebc1c14ce39cb11299360cea281f.jpg

leucio
24-01-2023, 02:04
@ Aletto

E con questo, anche il discorso che pensavo di fare sul logos è bello che archiviato. :) Fortunatamente, perchè io stavo commettendo l’errore di ragionare esclusivamente sulle forme di comunicazione umana: da qui l’affermazione sul logos che può essere anche una barriera, una forma di disciplina e di esclusione. Avevo in mente le procedure di esclusione formulate da Foucault ne L’Ordine del discorso, ed è da qui che ricavavo l’idea del logos come campo di battaglia (e figurati se non concordo con te nel ritenere la rivendicazione del logos come un atto rivoluzionario!), ma qui stiamo parlando d’altro, ed è bene non divagare troppo.
Resta di positivo il fatto che comunque mi hai fatto desiderare di riprendere in mano i vecchi ‘ferri del mestiere’ abbandonati da trent’anni a questa parte, dispersi chissà dove e di cui non volevo sapere più nulla. E che comunque li riprenderò.
Sulla questione del logos, così come la poni tu, siamo d’accordo, solo con qualche piccola puntualizzazione. Penso che nel dialogo, nella comunicazione infra-specie la barriera delle differenti forme di espressione verbale, i logoi, sia molto più tenace e resistente della differenza che c’è tra due parlanti lingue diverse ma appartenenti alla stessa specie. Sarà per una forte capacità empatica, ma mi sono state accreditate spesso capacità di comunicazione capaci di scavalcare questo tipo di barriera. L’unica che considero 'scientificamente provata', perché avvenuta alla presenza di una terza persona che padroneggiava tutte le lingue utilizzate nella circostanza (si partiva dal film ‘La Battaglia di Algeri’ per arrivare al terzomondismo di molti intellettuali italiani tra i ‘60 ed i ’70), è stata una discussione con un simpatico manager algerino che parlava arabo e francese, con cui ci sono stati lunghi momenti in cui ognuno usava la sua lingua (io solo l’italiano e il napoletano) e ci capivamo perfettamente. Il fatto che ognuno usasse la sua lingua ci è stato detto a discussione finita, perché noi due, presi nel vortice del desiderio di comunicare, non ce ne eravamo affatto accorti. Con i viventi non umani, la cosa è decisamente più complessa, almeno per me.
Con Averno, il mio primo maestro, il punto di partenza vero è stato quando è entrato in casa, ed abbiamo cominciato quella che io definisco una convivenza. Appena uscito dal trasportino, Averno non si è preoccupato dell’ambiente in cui si trovava per la prima volta. Non lo ha degnato di uno sguardo. Il suo interesse principale era stabilire un dialogo, una relazione con me. Interesse ampiamente condiviso: abbiamo passato lunghi minuti a studiarci, ad esitare nel cercare i modi di dire, sempre sorridendoci e cercandoci. Non mi sono mai considerato meglio o peggio di lui, riconoscendogli la stessa dignità ed individualità che avrei riconosciuto a te o a qualsiasi altro essere umano verso cui nutro una disposizione d’animo positiva, amichevole. Sono stato sempre disponibile, con la stessa letizia, ad apprendere ed insegnare, mettendoci sempre tutte le mie risorse, la mia energia, la fantasia. Da qui, il terreno emozionale, limbiale come dici tu, è stato quello più naturale, immediato su cui incontrarsi, nelle forme e nei modi sintetizzati nel precedente post.
Le forme verbali, il logos, hanno e hanno avuto un ruolo decisamente di secondo piano, ma ci sono. Sia perchè lui attraverso le diverse modulazioni del miagolio o altri suoni che emette manifesta esigenze, desideri, anche quelli ai nostri occhi più inusuali (c’è il miagolio con cui mi chiede di accompagnarlo alla lettiera, che è un atto di richiesta e conferma di attenzione perchè i primi tempi, con i guai ortopedici che aveva, non riusciva ad entrare e uscire da solo), sia perché in alcune circostanze, solitamente quando riesco a fargli sentire che si tratta di cosa seria, ascolta quello che gli dico, e dal mio tono e dalla mia gestualità (che lui comprende abbastanza bene) credo che capisca il senso generale di ciò che intendo comunicare, dato che sostanzialmente si regola poi di conseguenza.
Non credo di essere né un eroe né un modello di quello che non si deve fare. Non ho conoscenze specifiche da cui muovere. Ho pensato solo che anch’io sono un animale, di altra specie ma un animale come lui. Forse il termine ‘animale’ anche usato così non è corretto (non in contrapposizione, ma come termine inclusivo di entrambi, leucio ed Averno). Ma non riesco a trovarne uno migliore. Si accettano, di ottimo grado, suggerimenti.

PS. Credo si dica infrasonico, per analogia con subsonico e supersonico (plurali, infrasonici, subsonici, supersonici).
Credo proprio che quando andrò a ritirare il libro di Foucault, ne approfitterò per ordinare il testo di Derrida che citi spesso (anche se ho capito che non è di lettura proprio semplicissima). Nell’attesa che si ristampino i testi di Marchesini (con il boom di adozioni di ‘animali’ cosiddetti domestici dovuto alla pandemia, sarebbe ora che ci sia una ricaduta positiva anche sul mercato editoriale, e non solo sul pet food o peggio, su orrori come ‘Pitti Pet’, una sfilata di alta moda per cani e gatti lobotomizzati che qualcuno ha avuto il coraggio di organizzare lo scorso anno), stavo pensando al testo di Cimatti che hai citato in questa discussione. E’ un’impresa pazzesca, roba da fuggire urlando sulla cima di Monte Gauro passando il resto della vita a nutrirmi di locuste e serpenti, o pensi che ‘se pò ffà’ ?

Aletto
24-01-2023, 11:03
@leucio
"Penso che nel dialogo, nella comunicazione infra-specie la barriera delle differenti forme di espressione verbale, i logoi, sia molto più tenace e resistente della differenza che c’è tra due parlanti lingue diverse ma appartenenti alla stessa specie. Sarà per una forte capacità empatica, ma mi sono state accreditate spesso capacità di comunicazione capaci di scavalcare questo tipo di barriera."
Penso che tra due interlocutori che siano o meno dotati di logo, o abbiano sviluppato linguaggi diversi, sia essenziale trovare comunque un modo per dialogare e questo perché in mezzo c'è la necessità.

Innanzitutto redo che avrei dovuto adottare l’umiltà di Darwin che mette in cima alla pagina del suo taccuino “I Think”, e solo sotto poi disegna il suo famoso cespuglio, a maggior ragione il mio post sarebbe dovuto essere preceduto da un bel “io penso che”

Qui la foto della sua famosissima pagina, ormai disponibile anche in formato T shirt ed indossata da chi forse non sa cosa ha preceduto quel pensiero e quel disegno
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/10/Darwin_Tree_1837.png/1200px-Darwin_Tree_1837.png

Il dialogo con i gatti ed altre specie non umane (eviterei un dialogo con una libellula e con molte altre specie per me dialogicamente inavvicinabili) penso sia possibile grazie alla multifattorialità da cui è composto, es: contatto visivo, postura, prossemica, velocità del nostro parlare e viceversa lentezza del nostro parlare e del movimento, la pesantezza o la levità del passo ecc ecc e la durata dell’impostazione dialogica che rappresenta un nostro stato d’animo, da cui loro ne evincono il nostro e che trasmette loro emozioni inevitabilmente recepite e corrisposte nel bene e nel male.
Consideriamo che anche un umano muto può egregiamente dialogare con loro.

Credo che alcuni gatti con cui viviamo usino il miagolio modulato come forma evolutiva di comportamento, per me sarebbe una exaptation (S.J.Gould), in particolare l’exaptation 3a, tento di spiegarmi: consiste in un modello contingente di cambiamento delle regole interne di sopravvivenza e quindi il miagolio quasi assente nei gatti selvatici e ferali, viene cooptato dal cosiddetto gatto domestico per svolgere altre funzioni. E qui bisognerebbe leggere il pdf di Sara Campanella “Quando il comportamento si fa evoluzione, la via piagetiana dell’epigenetica” ma non me lo fa scaricare tutto.

Per sommi capi, il gatto come sappiamo usa il problem solving, e secondo Piaget -che si è occupato molto dei bambini- questo si ha quando si crea un equilibrio tra assimilazione ed accomodamento, ossia quando si riesce a discriminare tra azioni reali o mentali diverse e ad usarle in maniera adeguata ed efficace. Il gatto allora così ottiene risultati, in questo caso in termini dialogici con un’altra specie.

Il testo di Derrida sinceramente l’ho letto solo a pezzi e bocconi offerti dal web e me ne sono fatta un’idea più completa ascoltando altri filosofi che ne parlano e che parlano dell’animalità: esce sempre fuori Derrida.

Il filosofo Cimatti insegna filosofia del linguaggio, se lo ritrovo metto un link breve sullo sguardo animale, trovato :)
https://www.youtube.com/watch?v=g4EBLIqzbyg

Infrasuoni: per sicurezza, siccome anche a me veniva da dire infrasonico ma non infrasono, sono andata sul sito dell’accademia della crusca che rimanda a UTET Grande dizionario della lingua italiana, ed è riportato così tale e quale: infrasuono, infrasuoni ma non c’è il termine infrasonico o infrasuonico, de deduco che sia un gergo adottato tra addetti. Forse tu trovi di meglio.

Aletto
26-01-2023, 07:33
A proposito del linguaggio comune, questo studio riguarda due primati: uomo e scimmia antropomorfa:
"C'è un linguaggio ancestrale condiviso da tutte le specie di grandi scimmie, compresi noi. Una teoria
ENRICO BUCCI 26 GEN 2023
Gli scimpanzè sanno usare i gesti per parlare tra di loro. E alcune regole che seguono sono proprie della linguistica umana. Uno studio per una nuova probabile scoperta: l'esistenza di un antico e comune modo di comunicare


Uno dei più importanti strumenti di cui la nostra specie fa uso è certamente il linguaggio, al cui apprendimento siamo adattati in via innata. Per una serie di vantaggi che qui non discuterò, ma che sono ovvi, il linguaggio verbale, basato sulla comunicazione vocale, è la forma privilegiata di comunicazione fra esseri umani; tuttavia, non è certo l’unica, ed è spesso assistita da altre forme di comunicazione non verbale – in particolare da quella gestuale.

Questa seconda forma di comunicazione è caratteristica anche delle grandi scimmie antropomorfe: gli scimpanzè, per esempio, utilizzano centinaia di gesti diversi per la propria comunicazione, e sono in grado anche di comporre sequenze di gesti, il cui significato è dipendente dai singoli gesti componenti la sequenza.

Questa abilità, oltre che in natura, è stata documentata anche in scimpanzè cui è stato insegnato il linguaggio dei segni umano: esemplari che ben padroni di questa forma comunicativa, posti di fronte a fatti nuovi – come l’osservazione di un cigno in un laghetto – comunicavano correttamente ciò che stavano vedendo combinando i segni per acqua e uccello, dimostrando la tipica flessibilità di uso delle singole “parole” di un linguaggio quando usate nella combinazione appropriata.

Non solo: recentemente, è stato scoperto che gli scimpanzé usano i gesti per comunicare in modi che seguono alcune regole linguistiche umane. Nel corso degli anni, i linguisti hanno scoperto che il linguaggio umano è conforme a regole specifiche indipendentemente dalla lingua in cui viene parlato. Una di queste regole, la legge dell'abbreviazione di Zipf, corrisponde al fatto che le parole usate più frequentemente tendono a essere brevi. Un'altra regola è chiamata legge di Menzerath: afferma che le strutture linguistiche più grandi tendono a essere separate da segmenti più brevi quando vengono pronunciate.

I ricercatori hanno scoperto che le regole del linguaggio umano si applicano all'uso dei gesti da parte degli scimpanzé: i gesti più comunemente usati tendono a essere piuttosto brevi, per esempio, e i gesti più lunghi sono interrotti da più gesti più brevi. Ciò suggerisce che le basi dei sistemi di comunicazione dei primati non umani esaminati e degli umani seguono gli stessi principi matematici di base, che tendono a ottimizzare la compressione in funzione della rapidità di esecuzione.

Dati questi elementi, ci si è chiesti recentemente se non possa esistere una forma comune di linguaggio gestuale comune fra le grandi scimmie, cioè se almeno le specie antropomorfe non siano in grado di comunicare almeno parzialmente utilizzando gesti, senza avere esperienza pregressa del loro significato.

Un lavoro appena pubblicato* sembra dare sostanza a questa ipotesi: gli esseri umani mantengono una comprensione dei gesti compiuti da altre grandi scimmie, anche se non li usiamo più noi stessi. Era già noto che molti gesti usati dalle scimmie fossero condivisi fra specie non umane, comprese scimmie solo lontanamente imparentate fra loro come scimpanzé e oranghi.

Nel nuovo lavoro, i ricercatori hanno testato la capacità delle persone di comprendere i 10 più comuni gesti usati dagli scimpanzé e dai bonobo utilizzando un gioco online. A oltre 5.500 partecipanti è stato chiesto di visualizzare 20 brevi video di gesti delle scimmie e di selezionare il significato del gesto tra quattro possibili risposte. Si è così scoperto che i partecipanti hanno interpretato correttamente il significato dei gesti di scimpanzé e bonobo in maniera statisticamente migliore di quanto ci si potrebbe attendere sulla base del caso, ovvero in oltre il 50 per cento dei casi (ricordiamo che le risposte possibili erano 4 per ogni gesto).

I risultati suggeriscono che sebbene non usiamo più certi gesti, potremmo aver mantenuto una comprensione di questo sistema di comunicazione ancestrale. Non è chiaro per ora se la nostra capacità di comprendere specifici gesti delle grandi scimmie sia ereditata o se gli esseri umani e altre grandi scimmie condividano la capacità di interpretare segnali significativi a causa della loro intelligenza generale, della somiglianza fisica e del comportamento sociale condiviso.



Al di là del fatto che sia geneticamente prestabilito, la capacità di interpretare correttamente (e di utilizzare) certi gesti appare in ogni caso suggerire l’esistenza di un vocabolario gestuale evolutivamente antico e condiviso tra tutte le specie di grandi scimmie, compresi noi; è probabile che lo stesso sistema di comunicazione fosse condiviso anche con altre specie umane con cui abbiamo convissuto, fornendo così una base per ipotizzare come potrebbero essere avvenuti i contatti interspecifici, che ci hanno portato anche all’ibridazione con specie come i Neanderthal, e allo stesso modo fra questi e l’uomo di Denisova.

È probabile che comprendevamo tutti una elementare lingua dei segni, la stessa che per esempio ci permette oggi di comunicare concetti elementari a chi non comprende la nostra parola e che riusciamo a cogliere nella comunicazione non verbale delle specie di scimmie non umane che vivono ancora oggi.

*link allo studio, che spero si apra
https://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.3001939

leucio
26-01-2023, 21:38
Il link funziona perfettamente: ho scaricato prima in ufficio e poi da casa sia l'articolo del prof. Bucci (se non ricordo male, quello che forse è molto più bravo di te, ma senza tutte le o che ci hai messo tempo fa in un post su questo forum :) ), sia, soprattutto, lo studio citato nel breve articolo, che per uno a digiuno dei mattoncini di base delle scienze biologiche e dell'etologia è un discreto mamozio. Mi riprometto, appena riuscirò a rubacchiare qualche ora, di leggerlo con la calma e la concentrazione giuste. E magari ci tornerò pure su.
Il dato comunque incontrovertibile, e cioé che un campione di oltre 5mila umani ha riconosciuto il significato preciso della gestualità di altri primati divenuti desueti per noi, non è affatto un'acquisizione da poco. Anche se non appaiono chiare fino in fondo le ragioni profonde, l'idea che esista un antico alfabeto non verbale su cui si strutturano modi e forme di comunicazione di tutti i primati (noi compresi), ci dice anche molto sulla nostra animalità completamente rimossa, che noi cerchiamo sempre di confinare nella sfera delle manifestazioni di violenza e sopraffazione. Mentre invece, dalle stesse regioni del cervello in cui si accendono le spie di queste istintualità, promanano anche quelli che noi spesso consideriamo i tratti più nobili della nostra specie. Davvero, si tratta di fare la pace con noi stessi, e per fare la pace con noi stessi non possiamo che farla anche con gli altri viventi che ci sono più prossimi. Magari cominciando ad ascoltarli per davvero, liberi da pregiudizi e sovrastrutture 'antropocentriche'.
Sarà una suggestione banale, molto probabilmente una cosa buttata là, senza alcun fondamento scientifico, ma quel poco di esperienza fatta (indirettamente) con cani e (direttissimamente) con Averno, mi lascia supporre che possa esistere un meta linguaggio, fatto di cenni (gesti) ed espressioni facciali molto più arcaico e misterioso, che consente livelli elementari di comunicazione (non so fino a che punto codificabili) anche con specie diverse dalla nostra, o dalla 'grande famiglia dei primati'.

Aletto
27-01-2023, 12:20
@ leucio
...un campione di oltre 5mila umani ha riconosciuto il significato preciso della gestualità di altri primati....
E' così che la scienza lavora, sul numero e sulla riproducibilità dei dati ottenuti, altrimenti sono solo piacevoli chiacchiere
Considera che prima di pubblicare un lavoro, gli stessi scienziati che lo hanno fatto gli fanno le pulci per smentire i dati che hanno ottenuto. Poi eventualmente viene pubblicato dopo una peer review. E a volte manco basta.

leucio
27-01-2023, 13:25
@ Aletto

Conosco il metodo scientifico, e qualcosa di simile al doppio controllo su dati e risultati di un lavoro (altro dalla ricerca scientifica, of course) l'ho anche fatto più volte. Sottolineavo il dato numerico perché il campione testato, quantitativamente, è molto attendibile. E questo dato statistico aggiunge, e non leva, qualità alla ricerca.

PS Dimenticavo: ho fatto una ricerca sulla questione ultrasuonico / ultrasonico. Visto che tu sei andata sull'Accademia della Crusca, io ho provato con il sito della Treccani, ma il risultato è stato lo stesso, tranne che non mi hanno rinviato a nessun dizionario. Contro la mia lettura "musicale" dell'italiano (in genere la forma corretta è anche quella che suona meglio), ha probabilmente vinto la gergalità di un linguaggio per addetti ai lavori, come ipotizzavi tu.

Aletto
27-01-2023, 13:48
Ricordo che in laboratorio quando la vetreria si era molto sporcata chiedevo all'addetto tecnico in romano: a Serafì senti mpo', daje na sonicata. Ossia Serafino mettila in bagno a ultrasuoni.

leucio
27-01-2023, 16:57
Le parole sono successioni di suoni. Anch'esse rispondono alla logica matematica della sequenza breve-ampio che nel citato studio sui primati viene richiamata a proposito della comunicazione non verbale oggetto dell'esperimento. Ed essendo suoni, per efficacia comunicativa devono sottostare anch'esse alle immutabili leggi dell'Armonia (questo vale anche per i gesti, sebbene il riferimento artistico qui sia la danza). Io spesso nel dubbio mi sono fidato del mio "orecchio" prima di andare a compulsare il dizionario, e di solito ci prendo (ogni legge conosce le sue eccezioni, soprattutto nelle lingue: esempio classico, i 300 verbi irregolari del greco antico). Non a caso si dice: "mi suona / non mi suona bene"... Di sicuro, suona benissimo la tua meravigliosa "sonicata", un suono davvero delizioso... :)

Aletto
27-01-2023, 17:59
A proposito di verbi irregolari greci, questo era bellissimo, correre:

τρέχω, δραμοῦμαι, ἔδραμον, δεδράμηκα

Penso sia un peccato per chi non lo ha studiato, non lo ricorda o pensa (forse giustamente) che sia inutile, non sapere certe volte che lingua ancora parliamo: ippodromo, velodromo, autodromo sono esempi di parole comunissime che vengono da questo pezzetto di coniugazione δραμ… in italiano suona “dram”.
Il verbo, come scrivevo prima, significa correre
Per non parlare della parola ottico, es sto andando dall’ottico
Ancora più forte la radice ben conservata in inglese op-tician
Quel pezzetto “op” viene dal verbo irregolare greco ὁράω che poi fa ὄψομαι, εἶδον, ἑόρακα, ἑώρακα, ὁρώρακα, ὄπωπα,….. , ὦμμαι
questo è il pezzetto ὄπ… in italiano suona op ben conservato nella parola inglese optician, ottico appunto. Significa vedere.
Vabbè, dopo questi vaghi ricordi ora anche basta :)
Però è lo stesso percorso che usava il biologo evoluzionista Gould per vedere e capire da dove veniva l’evoluzione

leucio
27-01-2023, 19:05
A me, che ho trascorso l'adolescenza rotolando tra piazza Mura Greche e il Cippo a Forcella (due punti che delimitavano, ad ovest e verso est, la cinta muraria dell'antica Neapolis), che ho scorrazzato impenitente per i tre decumani che ne tagliano ancora oggi il corpo pulsante, il primo che viene in mente è un altro verbo greco, che è giunto quasi integro fino a noi mantenendo il suo significato: paizo (scusa ma non so trasformare i caratteri in quelli greci), che in napoletano diventa "pazziare" (giocare). Ma ci sono tante altre singolari tracce, anche di greco arcaico, che ti sorprendono sempre dolcemente. A Napoli abbiamo conservato anche tracce del "vau" o digamma, la malefica consonante che, con la sua caduta, ha creato disastri incommensurabili (non ultimi, i verbi irregolari). Esempio: basilico. Viene dal greco vasileus, poi in questo caso il vau è diventato beta, ma in napoletano basilico si dice "vasenicola". E potrei continuare fino a domattina...
Che ne diresti se ti augurassi per domani una giornata serena e rilassante come questo pezzo?

https://youtu.be/UTFD1C4tVIg

Aletto
27-01-2023, 19:41
Παίζω (giocare)
un bel copia e incolla perché se cambio lingua al computer, greco, poi non so se riesco a tornare all’italiano, nel dubbio….. :353:

leucio
27-01-2023, 21:56
Un'ultima digressione, poi ti giuro che il prossimo post su questa discussione sarà serio. Ma è una noticina divertente ed interessante, perfettamente in linea con la parentesi linguistica che ci siamo regalati. Qui dove abito io, siamo in piena Magna Grecia: da Cuma, la prima colonia fondata nell'Italia meridionale (ne ammiro l'acropoli dal balcone), a Neapolis, fondata da popoli attici, a Dicearchia (oggi Pozzuoli), fondata da esuli dell'isola di Samo.
Secondo alcuni storici, non so quanto attendibili, il greco parlato nell'isola di Samo aveva una caratteristica inquietante che si è mantenuta nella particolare maniera in cui i puteolani parlano il napoletano: col distorsore aperto a manetta. Spiegarlo in termini piani è difficile, per cui ti posto una sciocchezzuola (in musica, tanto per cambiare) che rende perfettamente l'idea. Nel pezzo c'è anche la traduzione in italiano del testo:

https://youtu.be/N6xUYGo0Log

La musica è uno standard blues suonato (quasi) dignitosamente.
La cosa divertente, dal punto di vista storico-linguistico, è che la città di Oplonti (oggi Torre Annunziata) è stata fondata da coloni provenienti da Pozzuoli. E anche lì parlano un dialetto con le stesse caratteristiche. :)

sonia
30-01-2023, 15:17
Credo di non aver mai trovato un topic così interessante, in anni e anni di frequentazione di forum.
Sono stata a leggere in rispettoso silenzio, del resto, fra citazioni di Felice Cimatti e Leopardi, è dura avere qualcosa da aggiungere :)
Non scriverò molto, però voglio raccontarvi un aneddoto che mi riguarda. Per tutta la vita ho avuto la fobia dei cani (da bambina sono stata aggredita, in particolare mi inquietavano i cani in corsa e il rumore del guinzaglio, sensazioni che erano collegate all'episodio che ho vissuto). Da ragazzina scappavo a gambe levate in presenza di un cane, da adulta cercavo di contenermi razionalizzando la cosa, ma restava una profonda inquietudine che andava via solo quando la bestiola non era più nei paraggi. In fondo non me n'è mai importato molto, ci ho convissuto evitando i cani, tanto non ne avrei mai preso uno, e quelli degli altri stavano lontani. Da quando ho i gatti, non ho più questa fobia, ora guardo i cani anche con una certa simpatia e riesco anche ad accarezzarli, e non ho fatto nulla per togliermela di dosso, intenzionalmente.

Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi
E' vero, ma i miei due gatti rimangono per me un mistero, ci sono cose che fanno che non capisco, e va bene così, forse è questo che ci affascina tanto nei gatti. E per quanto possiamo avere la pretesa di un "controllo" sul mondo in cui stiamo, compreso il nostro corpo, perdiamo in partenza.
A proposito di musica: uno dei miei gatti (l'altra no, resta indifferente) si rilassa quando ascolta il suono della mia viola da gamba, credo sia una sensazione simile a quella che provo io quando ascolto il suono del mio strumento preferito (anche questa scelta è stata per me dettata da ragioni esclusivamente "emotive"), che ha una "voce" bassa, è per me un suono che viene dall'anima, ma è chiaro che è "per me", non a tutti darà le stesse sensazioni.

Aletto
31-01-2023, 08:46
Animalità
o più propriamente, «di ciò che si chiama, con un singolare generale che mi ha sempre scioccato, l’Animale» (Deridda) implica il pensiero filosofico........
L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano; per questo l’animale non esiste, perché non esiste questo chimerico vivente che pretende di riunire in sé tutti gli altri viventi.
L’animale è letteralmente una parola, una entità linguistica. ......
Mi ricollego al primo post di questa discussione e aggiungo quello che ha segnalato Sonia:
cit:
"Quote:
è dura avere qualcosa da aggiungere
Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi

E' vero, ma i miei due gatti rimangono per me un mistero, ci sono cose che fanno che non capisco, e va bene così, forse è questo che ci affascina tanto nei gatti. E per quanto possiamo avere la pretesa di un "controllo" sul mondo in cui stiamo, compreso il nostro corpo, perdiamo in partenza."

Invece Sonia tu hai aggiunto qualcosa: la tua esperienza e la tua considerazione che siamo una specie che pretende di controllare, ossia l'eccellenza tra le specie, e che invece perdiamo in partenza. Non siamo una specie superiore tra le specie, colpevole forse anche dell'autoestinzione, cosa che di solito avviene tramite interventi esterni ed estremi. Come darti torto!

E io mi chiedo:
tu per te stessa non sei un mistero?
non è che la postura eretta ci sta soffocando, opprimendo, e non abbiamo più lo spazio per superare la necessità di essere diversi? Quello è lo spazio che Derrida inaspettatamente trovò nello sguardo della sua gatta.
L.Caffo oltre ad accorgerci dello sguardo animale, deduce che ci potremmo accorgere di un'altra consapevolezza: quella di ucciderli, di farli nascere per non farli vivere più di un tot di tempo. La nostra aggressività di specie tranne rare eccezioni che implicano la sopravvivenza individuale, a differenza delle altre che impropriamente chiamiamo aggressività, non ha nulla di innocente

Per me resta un mistero il motivo per cui per riconoscere la nostra animalità dobbiamo ricorrere alle animalità altrui.
In pratica l'animalità diventa ciò che non vediamo, e quando crediamo di vederla in realtà vediamo l'animale.
L'argomento è prettamente filosofico.

Faccio un paragone un po' ardito: ricordo che il neurobiologo Stefano Mancuso mostrò agli studenti una bellissima foto di una rigogliosa foresta pluviale e gli chiese: cosa vedete? Dopo un po' tutti dissero: lì c'è una scimmia.
Ignorando completamente il contesto in cui era immersa.
Come quegli studenti non riusciamo a vedere ciò che è più presente, è dappertutto ma non riusciamo a vedere. E' dentro di noi, la esponiamo, ma per me resta un mistero

Ti metto questo link, viola da gamba, spero ti piaccia
https://www.youtube.com/watch?v=3lS3ks7EKtU

leucio
08-02-2023, 22:37
Forse l’esempio di Mancuso ci ricorda una nostra specifica caratteristica di specie: non a caso si dice che il miglior modo per nascondere un albero è ripiantarlo in una foresta. Una caratteristica che sta diventando sempre di più un limite.
Noi vediamo, ma non sappiamo più guardare. Né il mondo che ci circonda, né noi stessi. Sempre più spesso deleghiamo le nostre scelte, anche quelle più personali, a macchine, a modelli matematici, ad algoritmi. Sotto un profilo ‘macro’ la cosa è forse necessaria ed inevitabile (entro certi limiti, naturalmente): basti pensare ai supercalcolatori, i giganteschi server su cui corre l’economia finanziaria, macchine che sul mercato agiscono spesso al posto dell’operatore umano, grazie a velocità di calcolo inimmaginabili. E che spesso, proprio per la estrema velocità e ‘meccanicità’ della loro reazione di fronte ad un movimento anomalo dei flussi finanziari, causano lo stesso danni significativi, come è capitato almeno un paio di volte nell’anno appena trascorso.
Lo stesso meccanismo di delega si riversa, senza trovare significativo contrasto, ma anzi, salutato come un passo in avanti verso la modernità ed il futuro, anche nel nostro piccolo quotidiano. L’uso smodato dei cosiddetti ‘social network’ sta creando un’umanità sempre più sola, deprivata della sua capacità di relazionarsi con altri esseri viventi. Quante volte vi è capitato di trovarvi in una situazione conviviale con alcuni amici, e scoprire che dopo dieci minuti ognuno si immerge nell’algido candore dello schermo dello smartphone?
L’inaridimento delle relazioni umane, la nascita di realtà virtuali parallele in cui è possibile credere di vivere in un mondo illusorio, disancorato dalla realtà come promette di essere l’ultima follia del Metaverso, e soprattutto la messa a valore dell’immensa mole di dati che si accumulano e commerciano in rete, che ben lungi dal produrre conoscenza e condivisione si rivelano strumenti di controllo di massa e focolai di panico generalizzato (i vari complottismi che nascono e proliferano a partire dalla rete), definiscono un quadro, una prospettiva, un percorso che non lascia intravedere, a breve, una via d’uscita diversa dall’esito catastrofico per la nostra specie che si va sempre più nitidamente delineando. E questo è lo stato dell’arte, secondo me.
E Aletto scrive, nel post di avvio di questa discussione, che si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti, delle corrispondenze attraverso gli sguardi che ricoprono l’animale della propria dignità si risveglia quell’apertura che anela alla vita stessa. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive… E ha perfettamente ragione.
Ha ragione perché, sempre secondo me, se ancora desideriamo inventarci una vita il più piena possibile (perché di questo si tratta, e non di evocare bucoliche e fantasmagoriche Arcadie) dobbiamo riprenderci per i capelli tutti interi. Non come identità immutabili, scolpite per i millenni in una sorta di ‘marmo cartesiano’ (sempre per citare Aletto), ma come esseri viventi, fra gli altri, in divenire lungo un percorso evolutivo tutto da vivere e scoprire.
Coltivare l’utopia, un pizzico di sana follia contro la banalità dell’infame buonsenso quotidiano, contro l’accomodamento all’aria che tira. Studiare, sperimentare, incontrarsi, discutere e anche litigare (perché no?). E’ un lavoro di lunga lena, da passo di montagna. Sperando che ci sia ancora il tempo sufficiente per non morire di noia, terrore e solitudine.
‘Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista’ (citazione di Cimatti ripresa da Aletto nel primo post). E anche se sono tornato a Mancuso, alla sua scimmia nella foresta invisibile, stavolta Cimatti un pizzico di ottimismo (ma solo un pizzico, eh?) lo lascia in bocca. Almeno secondo me.

Aletto
09-02-2023, 10:02
Rispetto ai cellulari non facciamo altro che seguire le nostre motivazioni di specie: li accudiamo, li teniamo puliti eliminando la zavorra che riduce lo spazio disponibile, collezioniamo icone inutili ecc. In altre parole esce alo scoperto un comportamento specie specifico immutato nei millenni.
AI, per me al momento è un desiderio e una dimostrazione di poter produrre una prerogativa che ci differenzia dal resto delle altre specie: l’intelligenza. Ma non c’è una definizione di intelligenza, e non sappiamo se AI chatGPT supererebbe il test di Touring, anche quello più aggiornato. Di fatto è stato proprio Touring a metterci ai posti blocco e a darci il via verso una corsa che non sappiamo se finirà. Ma chatGPT si può ingannare, ed è succube del bias del machine learnig.
A chatGPT si può chiedere di comporre sonetti, di darci immagini che rendono l'essenza del volo. E AI lo fa, ma sono calcoli di una macchina e sondiamo i limiti di un algoritmo, ma sapremmo distinguere il risultato da quello di una mano in cerca del bello?
Abbiamo trovato il modo di produrre il tanto agognato animale cartesiano. La macchia può anche far finta di soffrire, e soprattutto secondo me, non si stanca mai. Non ha bisogno di dormire, è vero che ogni tanto il nostro interlocutore macchinico ci mette un po’ a rispondere, ma non si stanca. Si accende e si spegne quando vogliamo e se lo vogliamo. E’ anche pronta e programmata per sfornare frodi scientifiche per “lei” irriconoscibili dalla verità, lavori pubblicati come coautore e per questo si sta cercando una regolamentazione.
AI è il nostro futuro interlocutore dialogico?
AI è utile? Dipende da come si usa, come dipende da come si usano i social, o piuttosto da come l’individuo pensa di usarli in modo intelligente. Torna il concetto di intelligenza, quella “cosa” che pensiamo tracci un altro solco tra noi ed il resto delle altre specie. Il Neanderthal era meno intelligente? Forse trasmetteva meno cultura. Forse la sua laringe non era ancora sufficientemente bassa.
Le nuove tecnologie in realtà ci interessano perché permettono di esprimere un ampio spettro di predisposizioni comportamentali sviluppate durante il lungo percorso evoluzionistico. In pratica cambia la forma, la dimensione espressiva che ne emerge, ma stringi stringi, la sostanza dei comportamenti è sempre quella.
-dimensione sociale
-motivazione ludica
-motivazione sillegica
-motivazione esplorativa
-la maniacale attenzione alla sua incolumità, le cure come fosse un grooming
Guardate qui:
https://www.marchesinietologia.it/wp-content/uploads/2017/11/grooming-tecnologico_760.jpg

Non si tratta più ormai, secondo me, di riprenderci per i capelli perché la società cambia e l’auspicato rischio di esserne emarginati finirà con i migranti digitali.

leucio
09-02-2023, 10:48
@ Aletto

Cosa intendi per "migranti digitali" ?

Aletto
09-02-2023, 11:55
@ Aletto

Cosa intendi per "migranti digitali" ?

Quelli che non sono nativi digitali, quelli che, obtorto collo, si sono dovuti adattare. La nostra generazione insomma, anche se vedo interviste a persone della mia età abilissime che parlano di AI (per es) come nulla fosse. Ma sono addetti ai lavori.

leucio
09-02-2023, 17:08
@ sonia

Ho letto in giro vari articoli (non so quanto attendibili) sui gusti musicali dei gatti. In genere, la tesi più gettonata è che essi gradiscano quegli strumenti (prevalentemente a corda) che emettono suoni acuti, quanto più simili ai loro miagolii, e non apprezzino particolarmente le frequenze basse (basso elettrico/contrabbasso) le percussioni e gran parte degli strumenti a fiato.
In realtà io penso che anche nell'approccio con la musica ad essere determinante siano l'individualità e l'empatia. I gatti ci osservano, fortunatamente, e credo che il tuo gatto musicofilo percepisca la passione e il sentimento con cui suoni la tua viola, e questo per lui sia decisamente più importante del tono, basso o acuto, del tuo strumento. E forse stando vicino a te quando suoni, seguendo i tuoi movimenti, in qualche modo partecipa e condivide le sensazioni e la gioia che la musica ti regala.
Il mio gatto, invece è più ordinario, nel senso che rientra nella tipologia di gusti che ho esposto all'inizio. Adora in particolare le 'smiagolate elettriche' come questa

https://youtu.be/qFfnlYbFEiE

ma sorprendentemente si blocca estatico quando gli faccio ascoltare brani più vicini alla tua sensibilità come questo:

https://youtu.be/rbofPf3FH4k

(per rifarti le orecchie, ho scelto un'esecuzione di Pollini).

Credo che tutto sommato abbia un buon orecchio musicale, perché quando giù in strada passa qualche auto da cui si diffondono orrori come questo

https://youtu.be/qL3JeBrIWME

lui fugge a nascondersi sotto il letto, e non ne esce, ancora timoroso, se non quando è sicuro che il disturbatore della quiete pubblica sia ormai lontano :) .

leucio
09-02-2023, 23:30
Smartphones, App, internet, social network, sono i reparti di una sorta di fabbrica immateriale. Cosa produce e vende questa fabbrica ? Noi. Mette a valore, cioè ricava profitto, dal nostro tempo libero (che oggi si può definire tempo lavorato non retribuito), i nostri gusti, le nostre passioni. A chi li vende? A chiunque sia interessato ad usare profittevolmente i dati del nostro traffico on line per incrementare il proprio business: vendite on line di prodotti, servizi, truffe di ogni genere. Va avanti così da anni: io stesso, quando sette anni fa ho trovato la casa in cui vivo in rete dopo una ricerca durata tre mesi, sono stato bombardato per anni di pubblicità delle agenzie immobiliari che trattavano appartamenti nella zona in cui adesso vivo. Più recentemente, però, la capacità di assemblare i dati della nostra navigazione on line ha prodotto un affinamento delle tecniche di profilazione dei singoli utenti della rete e soprattutto dei ‘social’, che dalla pubblicità si sono allargate al controllo sociale, non solo nei tradizionali termini polizieschi, ma anche sviluppando una capacità di creare e modificare orientamenti politici nella popolazione, come la leggendaria cavalcata di Steve Bannon e della sua Cambridge Analitica, tra referendum sulla Brexit e prima campagna presidenziale di Donald Trump, si è ampiamente incaricata di dimostrare.
Le ‘predisposizioni comportamentali’ che abbiamo sviluppato nel corso dell’evoluzione vengono in questi meccanismi sollecitate allo stesso modo in cui i volontari mettono irresistibili bocconcini nelle gabbie trappola usate per accalappiare i gatti randagi o di colonia e sterilizzarli. La profilazione consente di farlo in modo che l’utente si senta sempre più gratificato dai contenuti mirati che gli vengono sapientemente offerti (sui social, attraverso ‘amicizie’ con utenti inesistenti che veicolano contenuti modulati dalla società che effettua la profilazione), fino a ritrovarsi rinchiuso inconsapevole e felice in un mondo ovattato costruito su misura per lui, o meglio per quello che si vuole che lui voti /acquisti / etc. Anche per questo, saperne un pochino di più sulla nostra ‘animalità’ può aiutarci a difenderci meglio, ad essere smagati quel tanto che basta a non farsi abbindolare dai moderni venditori dell’Elisir dell’Eterna Giovinezza. E magari può aiutare anche la lettura di qualche classico (i classici servono sempre!) del settore, come ‘I persuasori occulti’ di Vance Packard, divulgatore dei primi studi sull’uso della pubblicità subliminale negli USA degli anni ’50.
Se vogliamo, questo è uno degli aspetti di un processo di smaterializzazione che dal lavoro e dalla finanza (si stima che le quantità di denaro virtuale che viene spostato sui mercati finanziari internazionali sia molto superiore alla moneta realmente disponibile nel mondo) sta investendo anche gli spazi più privati delle nostre vite. Fortunatamente, accanto alla fitta schiera degli aedi delle magnifiche sorti e progressive della sussunzione della vita umana sotto il controllo degli algoritmi, si comincia ad intravedere, meno fra i migranti digitali, con maggior discernimento fra i nativi delle nuove tecnologie, l’abbozzo di un discorso critico, non demonizzante ma realistico. Ciò significa che il futuro, come insegnavano i Clash, non è ancora scritto. E che per riprenderci il controllo delle nostre vite, dobbiamo e possiamo riprendere in mano tutti gli strumenti teorici che possono servirci.

https://youtu.be/AxB8xGJvCQQ

Aletto
10-02-2023, 11:06
Scusa ma, e allora? Pensi che questo non sia già successo con modalità diverse in tempi passati? Pensi che ad ogni gap generazionale gli “anziani” non siano stati spiacevolmente sorpresi dal comportamento di figli e nipoti?
Il passaparola adesso è molto più veloce ed entra subito nei nostri dispositivi.
E allora? Io li ignoro. Dopo un po’ scompaiono. Quando cercavo casa a Milano non sono forse stata tartassata per lungo tempo dalle pubblicità di case? come da più di un anno dalle telefonate di esercenti di luce e gas? Amen, non rispondo, pazienza. Mi comparivano anche nella mail e cestinavo.
Tra l’altro su fb c’è l’opzione “non voglio più vedere questa inserzione” o qualcosa del genere, ci si clicca sopra e basta.

Oggi avevo tre notifiche su fb di cui una è del nobel Giorgio Parisi che ieri aveva postato un bellissimo pensiero di Betrand Russell sulla felicità ed un’altra è di Pikaia- portale dell’evoluzione, la terza sinceramente non la ricordo. Quindi in buona parte si può selezionare quello che ci interessa.

Ormai la gran parte delle società umane non ha più obbiettivi ideologici ma economici.
Sì ma ai miei tempi…..Non ci sono più quei tempi. Si va avanti.
Se ci si riesce si ascolta altra musica, e si legge altra letteratura. Ricordo che anni fa lessi un libro di Houellebecq per me particolarmete sconcertante, Le particelle elementari.

Io considero bocconcini succulenti nonché pericolosissimi anche altre forme di subdola persuasione che hanno mirato e mirano tutt’ora a sottoprodotti del pensiero.

Mia nipote non so che individuo sarà perché già da mesi fa, aveva anni due e mezzo circa, il gioco “giggino giggetto che volan sul tetto ecc” aveva capito subito dove erano finiti quel giggino e quel giggetto e mi sono sentita inadeguata ai tempi, mentre io a sei anni ancora guardavo incantata mio padre cercando di capire e/o abbandonandomi al sogno di una magia inesistente.
Il prossimo gioco per lei sarà un prisma per avere un arcobaleno in casa. Parallelamente sento di doverle fornire elementi per scoprire la magia della natura, e quest’anno vedrà come dal fiore di una piantina di fragola nascerà il frutto.
Io per poter essere una nonna presente devo stare il più possibile al passo con i suoi pensieri e capire come si muove quella generazione che, pur non essendo in linea con i miei pensieri e principi, non per questo sarà da buttare.
Per poter essere una madre presente ho dovuto capire molte cose, forte del fatto che la mia generazione aveva vissuto una rivoluzione socioculturale molto più violenta sia nella decostruzione che nel tentativo di ricostruzione: se ho vissuto quella fase posso vivere anche questa questa fase.

Passo ad altre considerazioni sul “demoniaco” mondo digitale:
Quando la techne (dono di Prometeo -assieme al fuoco- ad un animale incompleto perché Epimeteo aveva già dato tutto il somatizzabile agli altri animali) diventa un secondo ambiente che, anche quando mette in contatto, mette l’individuo uomo in una condizione di relazionalità, chiamiamola “desomatizzata”, ci fa entrare entrare nella tecnosfera.
E quindi secondo me:
-C’è necessità di un’analisi ontologica sull’umano che, partendo da una lettura attenta del mito prometeico, che -sempre secondo me- oggi non può prescindere dagli assunti della rivoluzione darwiniana e dalle evidenze scientifiche e da una valutazione del significato della techne visto l’emergere sia del digitalico che della tecnosfera, e non solo:
-c’è necessità anche del superamento dei canoni tradizionali di interpretazione del rapporto tra l’essere umano e il supporto tecnologico.

La tecnosfera, grazie a Darwin, non ci pone al di sopra delle altre specie e non sarà una liberazione dell’essere umano da qualunque vincolo, ponendo l’animalità come controtermine.

Secondo me non perderemo il controllo delle nostre vite e “Il futuro è aperto” scriveva Popper in una chiave di analisi molto diversa.

sonia
10-02-2023, 12:22
Noi vediamo, ma non sappiamo più guardare. Né il mondo che ci circonda, né noi stessi. Sempre più spesso deleghiamo le nostre scelte, anche quelle più personali, a macchine, a modelli matematici, ad algoritmi.
Io credo che le giovani generazioni (ne ho un paio di esemplari in casa :)) stiano sviluppando gli anticorpi. Hanno la tecnologia dalla nascita, ma cominciano ad interrogarsi sul suo uso e sulle sue conseguenze.
Non sono pessimista.
E del resto, se ne facciamo una questione generazionale, quanti della nostra (io ho mezzo secolo :)) guardavano "senza vedere"? Secondo me erano in tanti, me li ricordo quelli della mia generazione, e maggior parte aveva anche uno scarsissimo rispetto della vita altrui. Siamo quelli che hanno avvelenato il pianeta, abbiamo riempito le case di eternit, abbiamo avvelenato il territorio, non c'era alcun rispetto per il mondo in cui vivevamo.

L’inaridimento delle relazioni umane, la nascita di realtà virtuali parallele in cui è possibile credere di vivere in un mondo illusorio, disancorato dalla realtà come promette di essere l’ultima follia del Metaverso, e soprattutto la messa a valore dell’immensa mole di dati che si accumulano e commerciano in rete, che ben lungi dal produrre conoscenza e condivisione si rivelano strumenti di controllo di massa e focolai di panico generalizzato (i vari complottismi che nascono e proliferano a partire dalla rete), definiscono un quadro, una prospettiva, un percorso che non lascia intravedere, a breve, una via d’uscita diversa dall’esito catastrofico per la nostra specie che si va sempre più nitidamente delineando. E questo è lo stato dell’arte, secondo me.
E' vero che le nostre scelte sono in questo momento condizionate dagli algoritmi, ma voglio sperare che la tecnologia ci solleverà, in futuro, da molte incombenze inutili. Ne verremo fuori. Sono un po' preoccupata anch'io, ma troveremo il modo. Del resto non possiamo fare altro, l'evoluzione tecnologica degli ultimi anni non è paragonabile a nient'altro nella storia dell'uomo.


AI è utile? Dipende da come si usa, come dipende da come si usano i social, o piuttosto da come l’individuo pensa di usarli in modo intelligente. Torna il concetto di intelligenza, quella “cosa” che pensiamo tracci un altro solco tra noi ed il resto delle altre specie. Il Neanderthal era meno intelligente? Forse trasmetteva meno cultura. Forse la sua laringe non era ancora sufficientemente bassa.
Le nuove tecnologie in realtà ci interessano perché permettono di esprimere un ampio spettro di predisposizioni comportamentali sviluppate durante il lungo percorso evoluzionistico. In pratica cambia la forma, la dimensione espressiva che ne emerge, ma stringi stringi, la sostanza dei comportamenti è sempre quella.
Io sono curiosa, ma è davvero così.
Quello che la tecnologia ha aggiunto è la velocità di reperire informazioni di base, e questo non è un male.
Poi certo, c'è la predittività, che oggi ci propone quello di cui abbiamo bisogno (secondo l'algoritmo) e ci rinchiude nelle "bolle", solleticando il nostro narcisismo e l'immagine che abbiamo di noi stessi e che vogliamo offrire agli altri. Ma dopo un po' arriva la noia, e dopo 100 post tutti uguali ci andiamo a cercare altre cose, se non abbiamo più voglia di approfondire. La tecnologia può essere uno strumento, è una possibilità.

sonia
10-02-2023, 12:26
E quindi secondo me:
-C’è necessità di un’analisi ontologica sull’umano che, partendo da una lettura attenta del mito prometeico, che -sempre secondo me- oggi non può prescindere dagli assunti della rivoluzione darwiniana e dalle evidenze scientifiche e da una valutazione del significato della techne visto l’emergere sia del digitalico che della tecnosfera, e non solo:
-c’è necessità anche del superamento dei canoni tradizionali di interpretazione del rapporto tra l’essere umano e il supporto tecnologico.

Staremo a vedere. All'università c'è un interessante corso di Filosofia e informatica, pare sia frequentatissimo, ho dato un'occhiata ai programmi dei corsi, vorrei avere vent'anni e il tempo per impicciarmene.

Aletto
10-02-2023, 13:33
Staremo a vedere. All'università c'è un interessante corso di Filosofia e informatica, pare sia frequentatissimo, ho dato un'occhiata ai programmi dei corsi, vorrei avere vent'anni e il tempo per impicciarmene.
Dai sonia! sei il nostro ponte tra le due sponde.
Un mio docente è filosofo postumanista. Sarebbe da leggere più di qualcosa in merito.

Anche io sono sono convinta che le nuove generazioni siano più immuni e potranno utilizzare al meglio queste cosiddette novità. La vedo da parecchio tempo la quasi indifferenza per le nuove tecnologie. Dico quasi perché velocemente assimilano trasformano e applicano la trasformazione necessaria. E ti ritrovi un individuo che sta un pezzo avanti a te, e sono convinta che già considerino il frastuono attorno a queste novità una boiata pubblicitaria.
Tra un po’ di giorni ne parlerò col compagno di figlia e sono sicura che mi darà delle risposte inaspettate che mi stenderanno, per i miei gusti è fin troppo intelligente e le sue risposte scavalcheranno almeno le successive tre mie domande e non capirò niente se non aver capito di non aver capito.
Gli ingenui in realtà siamo noi.
Sere fa ero a cena con amici coetanei e tra questi ce n’era uno affascinato e abbindolato da chatGPT, ora gli chiedo questo e ora quest’altro, leggete le risposte! Dentro di me pensavo: questo è matto. Se non sto zitta qui finisce male.

leucio
10-02-2023, 21:51
Forse la repulsione dello scrivere che mi affligge da anni deve aver gravemente compromesso la mia capacità non dico di padroneggiare, ma almeno di esprimermi in modo comprensibile usando la lingua italiana. Nel mio ultimo post ho scritto: «Fortunatamente .... si comincia ad intravedere, meno fra i migranti digitali, con maggior discernimento fra i nativi delle nuove tecnologie, l’abbozzo di un discorso critico, non demonizzante ma realistico».
Penso che questo significhi esattamente il contrario del ‘restare spiacevolmente sorpreso del comportamento di figli e nipoti’. Sono rimasto esterrefatto.
Trattandosi di quanto scritto da Aletto, è da escludere categoricamente la malafede del volgare trucchetto retorico di attribuire una posizione ‘di comodo’ a chi sostiene una tesi che non si condivide. Con la sapida aggiunta di un sorriso, di compatimento o sarcastico a seconda del proprio stato d’animo, all’indirizzo di chi solo ponesse la questione in questi termini.
Se avvengono cose del genere, la responsabilità è condivisa, sempre.
E io mi chiedo quindi dove e cosa ho sbagliato da parte mia. La frase era forse troppo piena di lunghe incidentali che si accavallavano le une sulle altre come le onde durante le violente libecciate che si abbattono sul lungomare della mia Napoli. Oppure la sua era solo una frase che genericamente definiva un’atteggiamento senza peraltro volerlo intestare a nessuno in particolare, e quindi mi sono fatto un film horror da 15 infarti fra il pubblico ad ogni proiezione. Oppure… se il mio turbamento è tale da non riuscire a vedere né foresta né scimmia (ri citando Mancuso) sono graditi i soccorsi.

Aletto
11-02-2023, 09:07
Credo che le frasi in neretto semplicemente provengano da contesti mentali diversi perché si riferiscono a ragionamenti individuali ed altrettanto individuali chiavi di interpretazione. Quindi credo che non abbia sbagliato nessuno. Almeno questo è il mio punto di vista.

Ne metto anche un'altra in neretto
"sussunzione della vita umana sotto il controllo degli algoritmi", perché non l'ho capita ossia:
Si sa che la nostra mente, dovendo gestire informazioni, usa quotidianamente gli algoritmi accumulati ed interconnessi durante la vita che è diversa per ognuno di noi. Ed ognuno - per questo motivo- può giungere a soluzioni diverse, e per questo penso che l'apprendimento profondo non sia una prerogativa della mente artificiale.
Essendo l'algoritmo insito nella mente ed un suo strumento, è normale usarlo inconsapevolmente anche quando banalmente si sceglie un percorso dal punto A al punto B della città, ed è anche logico che una mente artificiale (chiamarla intelligenza - ma anche mente-credo sia un limite linguistico) rispecchi i contenuti di chi l'ha creata, ma a crearla sono tanti esseri umani che devono seguire regole precise perché tutto deve essere trasformato in numeri e non si può rischiare di mettere le orecchie ad un albero (detto in parole povere).

In conclusione cito Nietzsche, Così parlò Zarathustra:
Ho trovato più pericoli tra gli uomini, che in mezzo alle bestie, perigliose sono le vie di Zarathustra.
Possano guidarmi i miei animali!

leucio
11-02-2023, 19:55
Le tecnologie non sono mai neutre, per il semplice motivo che se non rispondono alle esigenze di sviluppare nuovi business o erodere nuovi margini di profitto da quelli già in esercizio, col cavolo che si mettono insieme i capitali, non irrilevanti, che ci vogliono per immaginare, progettare e realizzare una qualsiasi idea. Le piattaforme, i social, le grandi aziende produttrici di software insomma, puntano a mettere a valore il nostro tempo libero. A trasformarlo in una fase di ulteriore produzione di profitto, peraltro non retribuito, attraverso l’estrazione di dati (in soldoni, tutto quello che facciamo on line) che vengono commercializzati per i fini più diversi.

Per una lettura critica dell’esperienza dei cosiddetti ‘social media’ e, più in generale, del baraccone di interessi che sta trasformando la rete in una gigantesca miniera di profitto e di controllo sociale, può essere utile andarsi a leggere le considerazioni in base alle quali la Wu Ming Foundation ha deciso di rarefare a sua presenza sulle piattaforme. Li potete trovare qui https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/lamore-e-fortissimo-il-corpo-no-1-twitter-addio/
qui: https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/lamore-e-fortissimo-il-corpo-no-2-dieci-anni-di-twitter/ e qui: https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/03/degoogling/
E così io mi risparmio la fatica di cucinare il polpettone e voi di leggerlo. Ed ecco perché ritengo che siano l’economia politica, la storia e la sociologia gli strumenti che ci servono di più per comprendere le derive pericolose (tipo Q-Anon, per fare un esempio) che in questi ambienti nascono e proliferano. Più utili ed efficaci del Mito di Prometeo e dintorni.
Aggiungerei solo che quando si parla di Facebook (d’ora in avanti, fb) tendenzialmente ognuno di noi tende a circoscrivere il perimetro delle analisi al proprio modo di utilizzo, alle proprie ricerche e ai contenuti che per studio o interesse professionale focalizzano la sua attenzione.
Secondo gli ultimi dati che ho trovato in rete, con una ricerca frettolosamente indecente, nel 2021 erano circa 38 milioni gli account italiani su fb (dati Audiweb, cifra lorda, che non tiene ovviamente conto dei profili fake). Secondo voi, quanti di loro trovano, fra le notifiche dei nuovi messaggi, un Nobel che ha postato qualcosa? E, seconda e fondamentale domanda: cosa gira sui profili fb della stragrande maggioranza degli utenti di un paese che in Europa brilla per analfabetismo di ritorno ed emigrazione di laureati?
Calcio e ricette di cucina con la pala, filmati di pseudo comici dialettali o quelli buffi (soprattutto quelli in cui per far ridere l’umano si fanno pesanti scherzi di cattivissimo gusto al non umano), predicatori religiosi fanatici della chiesa pre-conciliare o di strane sette protestanti, scalcagnati tribuni del popolo ad alto tasso di qualunquismo becero, pornazzo a go-go, i pronipoti dei televenditori degli anni ’80, gossip (ovviamente), siti di ‘informazione’ di dubbia attendibilità, spesso bufalari doc, e siti di testate locali che sono la versione on-line di Radio Pianerottolo, cantanti neomelodici o di genere inqualificabile, rispetto ai quali il volgarissimo video di Gigione che ho postato a Sonia è un fulgido esempio di musica extra colta. E potrei continuare fino a domattina. Queste cose ho visto scorrere sugli smartphone degli operai, a bassissimo livello di scolarità, delle basi in cui ho lavorato tra Caserta e i confini della Campania con il Lazio, e che vedo ancora girare anche tra impiegati e funzionari della sede centrale, dove lavoro oggi, che qualche libro in mano lo hanno dovuto prendere per forza, magari giusto per giustificare un titolo di studio.
Purtroppo, è così, perché questa oggi è l’Italia. E non è possibile e sensato azzardare riflessioni e analisi sull’uso, la funzione ed i rischi senza tenere conto di quello che è l’uso di massa dei social. Non l’uso che fanno Sonia o Aletto. Non ha molto senso, almeno per me, riferirsi solo al quintile più istruito della popolazione, capace di un uso consapevole e virtuoso dei social. Si rischia di finire intrappolati nella ‘sindrome di Narciso’, o peggio ancora di fare madornali errori come quello in cui incorse l’amministrazione Obama con la storia delle ‘rivoluzioni arancioni’ nei paesi arabi. Per chi non ricordasse, furono promosse via fb manifestazioni e movimenti di protesta in tutti i paesi medio orientali, in cui la base di massa era quel poco di piccola e media borghesia urbanizzata, di gusti e cultura occidentalizzanti, che rivendicava il diritto a vivere in una società più moderna, strutturata sui valori e sulle economie dei paesi del ‘primo mondo’. Dopo una breve fase in cui furono queste forze a tenere la scena, sostenute dal circuito mediatico occidentale che vaneggiava di rivoluzioni dolci e di ruolo di fb come creatore di libertà e democrazia, la piazza è stata conquistata dai fondamentalisti islamici, che sempre tramite fb hanno mobilitato le masse di poveri analfabeti delle periferie e delle campagne, spazzando via ogni altra forma di critica alle classi dirigenti di quelle nazioni, con gli esiti drammatici che abbiamo visto soprattutto in Siria.
That’ all folks.

leucio
11-02-2023, 20:26
@ Aletto

"sussunzione della vita umana sotto il controllo degli algoritmi", perché non l'ho capita /QUOTE]

Probabilmente sarei stato più chiaro se avessi aggiunto le parole 'e delle logiche di mercato', perchè gli algoritmi cui mi riferivo erano soltanto quelli che sovraintendono al funzionamento delle macchine complesse ed elaborano i 'big data' che da esse si ricavano. I cambiamenti, come le intrusioni ostili, non avvengono quasi mai ex abrupto. Richiedono una preparazione più o meno lunga, perché siano accettate come normali. Per ora, gli algoritmi di cui sopra non fanno altro che rispecchiare molti aspetti culturali deteriori, molti pregiudizi della società in cui viviamo. Ci sono molti studi statunitensi in proposito, specie sul razzismo e sull'antifemminismo impiantati nei criteri di valutazione di questi strumenti. Ma non escludo che se domani qualcuno dovesse trovarlo profittevole, lentamente gli algoritmi saranno progettati per far crescere non solo le orecchie, ma anche la proboscide ai nostri poveri alberelli. Con la protezione delle Leggi del mercato e del profitto.
Spero che questo post, almeno nella sua parte finale, sia un'eccezione rispetto alla ormai accertata 'sindrome di Cassandra' di cui soffro, in tutti i sensi, le pene dai tempi del liceo. :)

Aletto
12-02-2023, 11:07
Cit dal primo link: “Facebook si vende i miei dati? E che c’è di male? Il controllo? Controllo di cosa? La privacy? Ma perché, hai qualcosa da nascondere? Io no! Male non fare, paura non avere, ecc. ecc.”
Credo che il primo di quei link trasudi disprezzo e frustrazione che, psicologicamente, non poteva far altro se non culminare nella figura –lacaniana- di Narciso come tramite per raggiungere i suoi obbiettivi.

Anche i carabinieri hanno i nostri dati, ci controllano, sanno anche che marca di dentifricio usiamo. Anni fa, tempi universitari, fui convocata al comando regione lazio del nucleo investigativo, e andai. Fui interrogata e dovevo rispondere a domande che non sapevo quale scopo avessero, quando dissi che se avessi saputo da loro qualcosa in più avrei potuto dare risposte più precise mi fu risposto (giustamente) che non era dato sapere niente.
Le domande erano così precise che capii che se inavvertitamente avessi sbagliato risposta o avessi fornito altrettanto inavvertitamente una risosta incompleta, loro rigiravano la domanda facendo trapelare in qualche modo quello che già sapevano, chi era mio padre e che lavoro faceva, quanti fratelli avevo, chi erano gli altri parenti e quanti figli avevano e dove abitavano ecc. Tutte informazioni facilmente reperibili per carità, ma quella per me fu paura -perché loro sanno ed io non so- che si risolse in una bolla di sapone.
Altro che il controllo e la vendita dei dati su fb!
Certo, i nostri dati sono facilmente ottenibili anche se le finalità sono molto diverse perché provenienti da lavori molto diversi e niente affatto paragonabili.

Molti anni fa andai a cena da Nemer Hammad ora deceduto, se non ricordo male erano presenti Mahmoud Darwish -anche lui ora deceduto- ed il fratello di Yasser Arafat. Non ero l’unica donna presente, e la conversazione tra noi era banale. Mi trovai lì perché l’allora mio compagno era regista e stava scrivendo una sceneggiatura per un film pro-Palestina. Successivamente vennero qui in casa per un’altra amena serata.
Pensate forse che non ci sia al ministero dell’interno un dossier che mi riguarda e ora forse archiviato/cestinato? I carabinieri su di me hanno sicuramente anche altri dati relativi a persone che ho frequentato e quando una di loro mi disse: ho un nome di battesimo che può essere usato, era chiaro che quella persona su di me già sapeva di tutto e di più, e vi assicuro che non è piacevole la conoscenza filtrata da precedenti informazioni ottenute per vie traverse.

Per forza di cose capite facilmente che dei miei dati su fb mi interessa poco. Non ho un profilo fake e non mi sento in pericolo, qualora mi sentissi in reale pericolo andrei alla polizia postale. Altre persone agiscano come vogliono, anche il non agire è un'azione.
Non mi sento inghiottita dalla macchina che fabbrica soldi, e il mio profilo fb è di una noia mortale. Più che altro ci sono articoli che non voglio perdere.


Tornando alle tecnologie mai neutre, il sito Meduza prima di essere credo definitivamente oscurato, usava le sue app per diffondere i suoi articoli.

E a proposito di AI sembra che chatbot Bard, che dovrebbe essere la risposta di google a chatGPT, abbia esordito con un errore clamoroso :) :)

Sinceramente, con tutta la buna volontà, partire dall’animalità ed arrivare alla cacca di Narciso (scusate la brutalità, è un riferimento ad un film di Germi nel link) non mi sembra possa dare alcun contributo.
Gli altri link, temendo che possano cavalcare la stessa onda, preferisco non aprirli perché la rete è anche un amplificatore esponenziale di rabbia e di odio più o meno goffamente camuffati.
L'odio ci separa dalle animalità non umane.

leucio
12-02-2023, 16:24
Cosa sta succedendo? I Led Zeppelin risponderebbero così https://youtu.be/KqF3J8DpEb4 (e come dargli torto). Ci stiamo avvitando in una brutta e pericolosa spirale che va fermata subito. Come (non) sai, io non sono su fb, inizialmente per diffidenza e per le cose che vedevo girare sugli smartphone dei lavoratori in servizio presso la struttura dove lavoravo. Poi leggendo e documentandomi, ho radicalizzato la mia posizione. Il che non significa non sapere (o capire) che esistono piccole nicchie anche in postacci come fb in cui è possibile un dialogo sereno ed a livelli alti. Gruppi per specialisti come te.
I link che ho postato non erano un attacco mascherato a nessuno. Se attacco qualcuno, o voglio polemizzare, lo faccio a viso aperto, direttamente. Pensavo fosse un modo per fornire un’analisi generale, ovvero basata sui grandi numeri degli utenti e dei contenuti, molto più precisa e documentata di quanto sia capace di fare io. Ho letto e riletto i link, e non capisco come tu possa ritrovarti in quelle categorie. La leggerezza con cui liquidi la mercificazione dei dati individuali degli utenti è in fondo un peccato veniale, che nasce dal ridurre l’analisi di un fenomeno complesso alla sola propria esperienza individuale. La scudisciata, che c’è in quei link, è tutta per quei soloni politicamente ex qualcosa che pontificano sui massimi sistemi, come i famosi primati della chiesa ortodossa che discutevano del sesso degli angeli mentre i turchi sfondavano le mura di Costantinopoli, ossessionati dall'idea di contare qualcosa. Tu non c'entri niente con questa gentaglia.

Aletto
12-02-2023, 18:00
Infatti io non mi ritrovo in quelle categorie, non so quali perché di link ne ho aperto solo uno, e mi sono limitata a constatare e commentare dal mio punto di vista –non da quello di altri- ciò che era scritto in quel link. E secondo me, non avendo analizzato con leggerezza quell’unico link aperto, non ho commesso alcun peccato, ammesso che non sia peccato avere un punto di vista.
Ma è esperienza di quasi tutti che, per es, le banche sanno tutto di noi, il che le rende molto pericolose e vulnerabili ai controlli sui fatti nostri. I link non li hai scritti tu, e la mia non era quindi una valutazione ad personam.
Perdonami ma, ancora una volta, tutto questo per me non dà nulla di nuovo all’animalità. O forse sì.

leucio
12-02-2023, 18:25
Era solo per dire che non c'era nessuna intenzione di offenderti, attaccarti, aggredirti etc.
Sul sapere tutto di noi, il terzo link si apre, dopo un cappello poco significativo sulla pandemia, con un bel raccontino che spiega la differenza fra le mappature che possono fare le banche, i carabinieri etc. e la possibilità di assemblare più dati 'molecolari' che le majors del settore hanno sviluppato. Al punto che, anche in luoghi più attendibili di quel sito, si parla del 'capitalismo della sorveglianza' come ultima frontiera dello sviluppo delle attuali società umane (capofila, manco a dirlo, la Cina).
Prima della tempesta sui social , stavo cercando di dire che per una specie umana che non riesce più a vedere quello che guarda, diventa complesso immaginare un percorso di ridefinizione di sè in termini diversi dal dominio assoluto sulle altre specie viventi. Da qui il 'passo di montagna'. Poi, c'è stato il Grande Deragliamento'.

leucio
25-02-2023, 11:13
Provo a tirare una riga ed andare avanti. Non è semplice, ma ci provo lo stesso. Non ho una grande familiarità con questi temi, fino alla mia iscrizione a questo forum non immaginavo neanche che esistesse un dibattito culturale e scientifico che sistematizzava, argomentava una serie di sensazioni e di idee (oggi direi più intuizioni che idee) che in qualche modo facevano parte del mio modo di sentire e spendere gli spiccioli della mia vita.
Saranno state le suggestioni latinoamericane della ‘Pachamama’ che già giravano all’epoca, ma la mia consapevolezza di essere parte, e non padrone, del mondo che mi circondava si è formata nel piacere di stendermi sui prati o fra le rocce, guardando il panorama ‘a livello filo d’erba’ ed infilando le dita nella terra, come a sancire un legame, oscuro e profondo. In tutte le notti infinite, ritto nel vento o con l’animo piegato sui vetri di un balcone, cullato dalla risacca del mare, a volte tenera, altre furiosa, sussurrando come in una chiesa le mie pene e i miei sogni, a riempirmi di pace e forza per andare avanti.
Sarà stata la mia sensibilità, ma non mi sono mai sorpreso se un vivente di altra specie mi guardava: la consideravo una normale curiosità, legittima come quella con cui io guardavo lui. E allo stesso modo sono sempre stato convinto, per un moto dell’animo, che anche i cosiddetti ‘animali’ provassero le stesse emozioni che proviamo noi.
Poi. Poi è arrivato Averno, e dalla curiosità ho fatto il salto verso la relazione. Limbica, si dice così quando il punto di partenza è un miscuglio di emozioni, sguardi, movimenti e (anche) suoni? Il punto di partenza, perché una relazione è tale solo se l’attenzione non è rivolta solo alle proprie sensazioni, ma anche alla percezione (e al rispetto) di quelle del proprio interlocutore, umano o non umano che sia. Alla condivisione di un desiderio, di uno scambio tra pari, alla pari. Accanto al feeling deve giocare la sua partita anche una specie di vigile razionalità dolce, per comprendere ed imparare, per raggiungere una consapevolezza ‘superiore’ generata dalla cooperazione tra istintualità e raziocinio. Devono, insomma, entrare in gioco tutte le rispettive caratteristiche comunicative di specie. Umane e non umane (le specie). Se non si è autenticamente se stessi, a un dato punto del proprio percorso e non come essere fossilizzato, in un certo senso nudi come Derrida di fronte alla sua gatta, non c’è relazione, ma solo due soggetti progressivamente sempre più ‘sordi’ che alla fine gridano forte solo il loro disagio.
Parto da me, dalla mia esperienza, perché il mio bagaglio di competenze scientifiche è leggero come quello di un hobo che cerca di prendere al volo il treno per una California probabilmente immaginaria, utopistica, come quella sognata dalle mille figure che animano le pagine di ‘Furore’ (The Grapes of Wrath) di Steinbeck. E per questo necessaria, anche se si trattasse solo di sopravvivere.

“L'utopia è là nell'orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino 10 passi e l'orizzonte corre 10 passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l'utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare (Eduardo Galeano).

Anche a costo di qualche inciampo.
Come potrebbe, per esempio, essere un dubbio, un’esigenza, una considerazione che voglio tenere graficamente distaccata da questa riflessione. E cioè la difficoltà che provo ad utilizzare termini come ‘animale’, «la trappola che ci divide dagli altri animali», una parola «che pensa al posto nostro e quindi automaticamente a tutto il già pensato in proposito» (citazioni da post di Aletto del 23/01/23, pag. 2 di questa discussione), e ‘animalità’, che da animale deriva e discende, trascinandosi inevitabilmente dietro tutti gli equivoci e le contraddizioni della sua origine, nonostante l’affascinante definizione («è un pò come l’elettrone della fisica quantistica che è sia lì che qui, senza dividersi e senza mai riunirsi») che ne da Aletto, e che io grossolanamente traduco così (il riferimento è ai primi versi, ovviamente):

https://youtu.be/UlKrH07au6E .

Troppo spesso, sento l’uso di questi termini come un limite, una contraddizione rispetto ai concetti che tento faticosamente di esprimere.
Temo di stare scrivendo uno sbrego indecente, e forse quella che segue è solo una fuga in avanti da neofita ignorante, ma mi trovo a pensare e ripensare che per fare un passo avanti sia necessario superare (dialetticamente, quindi facendo un passo avanti nella definizione delle varie specie viventi e nella teoria) anche il termine ‘animot’ di Derrida, comunque fondamentale per mandare in mille pezzi la concezione cartesiana del rapporto uomo - altre specie viventi. Ho bisogno di parole nuove, per dischiudere nuovi orizzonti.

Aletto
25-02-2023, 15:15
Ieri sono stata con amici nel mitreo delle terme di Caracalla, per vedere una delle tante facce, dei tanti tentativi dell’uomo di imitare se stesso, la performance ha questo titolo: Lessico animale.

Il luogo è molto suggestivo, la musica/suono era quasi da trance se non ci fossero stati gli uomini di oggi e di sempre ad assistere e vivere un richiamo familiare.
Come al solito spero che il link sia giusto e si apra:
https://www.rainews.it/amp/video/2023/02/mysterion-la-suggestiva-mostra-performance-di-yuval-avital-alle-terme-di-caracalla--6e981936-465d-4922-9a3c-8cc093924037.html

leucio
25-02-2023, 15:47
Sono contento di sapere che sei uscita per una serata stimolante. :):)
In un posto suggestivo come le Terme di Caracalla, poi...
Non avevo mai visto il Mitreo che vi è ospitato, e ti ringrazio per questa 'chicchetta' che mi hai regalato. In realtà non ho mai visto un Mitreo, che mi incuriosirebbe parecchio. A Santa Maria Capua Vetere, l'antica Capua romana, ce ne è uno, una strana costruzione, piccola e abbandonata fra le sterpaglie ed i rifiuti lungo la via Appia. Ma è sempre chiuso.
Stasera esco io, niente di che, c'è la partita del Napoli e da tradizione quando posso la vado a vedere a casa dei miei amici che hanno fatto le foto di Averno che trovi nei miei album. Con loro vive un ragazzo (chiamiamolo così) di 44 anni, una persona dolcissima con seri disturbi, fra cui una marcata tendenza autistica. Con me socializza, e quando gioca il Napoli comincia a martellare i miei amici perché mi invitino. Soprattutto da quando si è convinto che la presenza di Averno "porta bene" :) .
Adesso vado a farmi una "sonicata artigianale": niente ultrasuoni, ma una normalissima doccia con la musica di youtube in sottofondo, poi dovrò uscire.

Serenissima serata

Aletto
25-02-2023, 16:34
Il mitreo di Caracalla di solito è chiuso al pubblico e anche questa performance non è aperta tutti i giorni

leucio
26-02-2023, 14:48
Ma almeno ogni tanto lo aprono, per una performance come quella cui hai assistito tu, per una mostra, o magari semplicemente per lasciare che i cittadini ne possano ammirare la bellezza!
Qui da noi, invece, molti spazi giacciono nel più totale abbandono, spesso sono perennemente chiusi. Estranei al godimento dei cittadini e dei turisti. Talvolta sono pressoché irraggiungibili o non visitabili nella loro interezza, perchè parti delle strutture sono state tranquillamente inglobate in vecchi palazzacci ormai fatiscenti.
Un esempio per tutti: il famoso Teatro di Neapolis, da cui partì la famosa tourneé di Nerone conclusa con l'incendio di Roma, è solo parzialmente visibile nei suoi pilastri ed archi esterni, parzialmente rimasti in piedi lungo il tracciato di via dell'Anticaglia (il decumano superiore della città greca), mentre le gradinate spuntano qua e la in cortili interni (assieme a sezioni dell'area del palcosccenico) o addirittura per gli ordini superiori all'interno di alcuni appartamenti privati.

leucio
26-02-2023, 17:56
C'è da aggiungere solo che, grazie a questo abbandono istituzionale generalizzato, si è ormai consolidata un'economia illegale che ormai non conosce argini: la depredazione dei siti archeologici, e lo scavo abusivo in aree di cui le varie Soprintendenze non hanno nessuna cognizione.
Nella zona in cui abito, c'è una marea di muratori, giardinieri, operai avventizi e quant'altro che arrotonda o sopravvive grazie a questo tipo di attività. I Campi Flegrei, fra l'altro, sono una vera miniera a cielo aperto da questo punto di vista, basti pensare alle miriadi di ville della classe dirigente romana dislocate tra Baia e Pozzuoli, alle strutture a servizio della Classis Misenensis, la flotta che aveva come base capo Miseno, e le mille e mille tenute agricole disseminate lungo la via Campana e la Domitiana, che collegava Pozzuoli alla via Appia.
Molti dei siti che vengono oggi depredati sono perfettamente sconosciuti alle Soprintendenze e agli stessi archeologi. Sono un "campo franco" che viene ininterrottamente saccheggiato, soprattutto di notte, ancora oggi.
Anche se non mi occupo più di certe storie, la tentazione di farmi un giretto per le mie zone con una persona che ho conosciuto e che faceva questo, diciamo così, mestiere, c'è ancora.

Aletto
22-01-2024, 12:03
Riprendo per un momento riportando le parole di Roberto Marchesini:
Avete mai incontrato un animale? Io no. Ho incontrato cani, lucertole, vespe, gatti, cavalli, ma animali proprio nessuno. Come potrei allora definire l’animale per come si manifesta, se in realtà non gli è dato di apparire?
Come in un ballo in maschera, l’animale non si fa vedere, si cela dietro la maschera della specie quasi che non volesse rivelare la sua identità. Ma forse le cose sono più semplici. Non può esistere l’animalità se non in forma declinata nella specie e io non mi accorgo di partecipare alla grande festa della vita, io pure dietro la mia maschera.

Grazie :)

Iska
23-01-2024, 16:57
Non ho le basi e ancor meno le competenze per affrontare un tema restando sul livello (alto) di questa discussione, però una mia idea ce l'ho.

Anemos e l'aria che spira, è il vento, è il soffio vitale, è l'essenza della Vita, è quella che i cristiani chiamano anima.
Quindi essere animali significa avere in sè l'anemos.
Accomuna tutte le specie, che siano cani, gatti, uccelli, umani, pesci e via dicendo.
Siamo tutti animali, lo siamo tutti noi che respiriamo, che viviamo la vita secondo le caratteristiche della nostra specie di appartenenza.

Non so da quale momento l'essere umano abbia deciso di tirarsene fuori, mettendosi arrogantemente un gradino sopra tutti gli altri animali, denigrandoli fino a considerarli alla stregua di oggetti di cui disporre a piacimento, nella vita e nella morte.
Oggi dare dell'animale a qualcuno è un'offesa.
Mi disturba l'idea di attribuire l'appellativo di animali alle specie viventi non umane.
Ma d'altra parte come fare per indicare i non umani in generale?

Qui sul forum con alcuni utenti si può tranquillamente utilizzare il termine "animali" perché abbiamo coscienza del suo vero significato, della sua essenza.
Ma non è così con tutti; anche qui c'è chi considera gli animali non umani, pur molto amati, come inferiori agli umani; tanto o poco non fa differenza, l'idea di fondo è quella.
Per non parlare delle persone con cui ci si rapporta nella vita quotidiana.
Ho notato profonde differenze nel concetto di animale e animalità, addirittura fra componenti dello stesso nucleo familiare, consanguinei, e questo mi spiazza e mi rattrista.

Forse noi umani ci siamo impigriti adagiandoci sugli allori dell'avere la facoltà di parlare e non abbiamo più voglia di ascoltare e comprendere chi non dispone di questa nostra caratteristica; forse solo i bambini lo fanno, almeno finché non vengono indirizzati dagli adulti verso il credo dell'umana superiorità.
Però se siamo capaci di mettere da parte questa differenza fra noi e loro, perché a ben guardare non è poi così fondamentale ai fini della reciproca comprensione, e invece di giudicarli mancanti di qualcosa rispetto a noi, quindi inferiori a noi, ci sforzassimo di osservare gli animali non umani, scopriremmo che è possibile un diverso modo di rapportarsi.
Senza la distrazione della voce, si può comunicare con lo sguardo, con un fremito del corpo, con una postura, con un'emozione, con un "rumore"; è possibile stabilire un reciproco canale di comunicazione che non ha bisogno di parole umane.
Forse così riusciremmo a capire meglio gli animali altri da noi e accetteremmo finalmente il fatto incontestabile di essere noi stessi animali, semplicemente di una specie diversa dalle moltissime altre che popolano il pianeta che ci ospita.

Aletto
23-01-2024, 19:05
Questo è ripreso dal primo post:
…….
E quando guardandoli (e amandoli) pensiamo la famosa frase “gli manca solo la parola” è come se li accettassimo nonostante quell’ handicap che li rende inferiori

"Gli animali sono fra noi, la nostra vita è impossibile senza la loro, eppure non riusciamo davvero a vederli. Siamo doppiamente ciechi: non sappiamo quasi niente dell’animalità degli animali non umani e ignoriamo la nostra. Sinora la filosofia si è limitata a tracciare il confine fra loro, gli animali, e noi, gli umani. Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi: non parlano, non pensano, non ridono e così via. È come cercare di capire l’Homo sapiens chiedendosi se abbia o no piume o branchie.

L’animalità non riguarda i gatti le scimmie ecc, ma riguarda noi e il corpo che siamo col quale avviene il primissimo incontro con la nostra animalità. E la prima richiesta che ci viene fatta, guarda caso, è mettere il nostro corpo in gabbia, la gabbia degli umani. Abbiamo anche potere sul nostro corpo: lo facciamo ingrassare, dimagrire, se non ci piace gli cambiamo i pezzi, decidiamo di uccidere o non uccicere. Lo trattiamo esattamente come trattiamo gli animali non umani. Finché ci sarà un soggetto che tratta sé stesso così, inevitabilmente tratterà allo stesso modo tutto l’ambiente che lo circonda.
Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” (F.Cimatti)
La riflessione di Cimatti sull’animalità per me è stata una pugnalata……

Ti assicuro che non sono necessarie competenze particolari, dal mio punto di vista c’è solo interesse per una diversità/dicotomia che si sgretola riflettendo. Mentre si sgretola e sfugge dalle mie mani come la sabbia, allora comincio a cercare di entrare in qualcosa che mi riguarda e non può, per il mio carattere, restare un pensiero sospeso.
L’uomo si è distaccato fin da sempre dagli altri animali, considerando anche la donna diversa ed altro dall’uomo.

Eppure ascoltando i paleoantropologi che definiscono ominini (non ominidi) il nostro genere e specie, già il confine si assottiglia fino a scomparire quando ci includono tra le grandi scimmie.
Ascolta oggi ascolta domani, leggi oggi e leggi domani, alla fine sono una grande scimmia.
Al livellamento definitivo tra noi di sopra e loro al di sotto hanno contribuito le neuroscienze.

So bene che è un concetto difficile da assimilare anche qui, e lo abbiamo notato.

In letteratura tra i biologi evoluzionisti è scritto chiaramente dapprima gli altri animali e poi “da ora in poi animali” dando per assodato che chi legge possa anche capire.

Non hanno la parola come noi la intendiamo, che tra l’altro dal punto di vista evolutivo ci ha dato problemi compensati e per questo è stata selezionata come favorevole per l’evoluzione, ma si possono esprimere perfettamente. Basta capire che lingua “parlano”.

E ti assicuro anche che il grande piedistallo sul quale ci siamo messi da sempre, è stato in gran parte annullato dalle neuroscienze.

PS: il livello non è alto, è che non sappiamo di “partecipare alla grande festa della vita”

Iska
24-01-2024, 16:33
Questo è ripreso dal primo post:

...L’uomo si è distaccato fin da sempre dagli altri animali, considerando anche la donna diversa ed altro dall’uomo...
L'uomo nel senso di Maschio.
La donna, il maschio (minuscolo), il bambino finché era nella sfera di influenza della madre probabilmente avevano un diverso rapporto con gli altri animali.
Me lo fa pensare il fatto che spesso gli animali sono stati e sono accostati alla donna come se ci fosse un canale di comunicazione privilegiato fra questi esseri "inferiori" all'uomo Maschio, appartenenti a specie diverse; donne e lupi, donne e gatti, donne e...
Credo che l'unica donna rappresentata in un rapporto di dominio e violenza sull'animale sia la mitica Maria della tradizione cristiana che schiaccia la testa del serpente.
E chi abbia avuto la brillante idea la dò al 100% che non era certo una donna.
Eppure ascoltando i paleoantropologi che definiscono ominini (non ominidi) il nostro genere e specie, già il confine si assottiglia fino a scomparire quando ci includono tra le grandi scimmie.
Ascolta oggi ascolta domani, leggi oggi e leggi domani, alla fine sono una grande scimmia.
Al livellamento definitivo tra noi di sopra e loro al di sotto hanno contribuito le neuroscienze.

So bene che è un concetto difficile da assimilare anche qui, e lo abbiamo notato.

In letteratura tra i biologi evoluzionisti è scritto chiaramente dapprima gli altri animali e poi “da ora in poi animali” dando per assodato che chi legge possa anche capire.

Non hanno la parola come noi la intendiamo, che tra l’altro dal punto di vista evolutivo ci ha dato problemi compensati e per questo è stata selezionata come favorevole per l’evoluzione, ma si possono esprimere perfettamente. Basta capire che lingua “parlano”.

E ti assicuro anche che il grande piedistallo sul quale ci siamo messi da sempre, è stato in gran parte annullato dalle neuroscienze.

PS: il livello non è alto, è che non sappiamo di “partecipare alla grande festa della vita”
Il contributo delle neuroscienze è senza dubbio importantissimo, però penso che per assistere a una rivoluzione del modo di considerare e di rapportarsi dell'essere umano con tutti gli altri animali dovremo aspettare ancora un bel po'.
Saranno le future generazioni a compiere il salto di qualità, la vera rivoluzione deve partire dal basso; le generazioni attuali sono ancora troppo legate all'idea della superiorità dell'uomo sugli altri viventi.
Certo ci sono le eccezioni, ma non hanno molto peso.
Per di più, la gran parte degli umani non si interessa certo a questi temi; meglio i videogiochi, lo sport da divano, i programmi di cucina, i talk show, per non parlare di (ir)reality.

E pensare che basterebbe osservare gli altri animali senza idee preconcette per capirli e capire noi stessi, la nostra animalità, che non è dissimile, anche se si manifesta con sfumature specie specifiche.

Aletto
24-01-2024, 19:16
Certo perché la madonna che schiaccia il serpente (che non è un animale qualsiasi, ma satana) è una descrizione bellissima e fantastica dell’apocalisse di Giovanni:
“……una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli…..”
L’apocalisse è da leggere e secondo me che sono atea, e andrebbe letta da atei per abbracciarne i significati e la mentalità che in seguito ci ha permeati. Idem la Bibbia.
Ma io li leggo con interesse e serenità, senza pensare a maschi e femmine ma a persone. Non riesco a fare distinzione di genere, mentre qui forse ci sono persone che ne fanno. Della Bibbia ho letto poco. Ho letto i vangeli apocrifi: finalmente storie che possono essere vere, ma non vorrei non avere rispetto per i credenti, e se così fosse sembrato, me ne scuso.
Hai mai visto il film Brian di Nazareth? È da rotolarsi dalle risate.

C’erano animali sacri a dee e dei greci ed egizi.
La donna nell’antica Grecia aveva obbligo di portare il velo in testa e non se la passava molto bene. Da quanto ricordo fa eccezione Aspasia, la donna/amante di Pericle, che in pratica era una ex putt@n@ (scusate ma non so come altro dire) che al fianco di Pericle godeva di libertà assoluta anche nella partecipazione alle assemblee e giochi vari assieme ad altri uomini dai quali era quasi venerata per la sua intelligenza.
Le primissime Olimpiadi erano delle mattanze.
La donna etrusca era invece molto libera di partecipare tranquillamente alla vita pubblica, più indietro non ricordo.
Il delitto d’onore è stato abolito solo negli anni ‘80.
Se hai raiplay puoi vedere una serie di interviste interessanti condotta da una giornalista credo americana, sulla condizione della donna da occidente fino ad oriente dai secoli addietro. Non ricordo il titolo, comunque ciclicamente la ripropongono.

Comunque, secondo me la donna era considerata un po’ come una via di mezzo fra l’uomo e l’animale. Ma non ci sono segni di questa diversità di genere nella preistoria. Agli albori la società era matriarcale. Ricordo che anni fa lessi un libro credo non più in stampa “Prometeo, Orfeo, Adamo” dovrei ancora averlo tra i miei libri.

Iska
25-01-2024, 21:57
Dell'Antico testamento ho letto la Genesi e l'Apocalisse: il principio e la fine della nostra specie.
Non ridere, ero alla ricerca di indizi: da dove veniamo e come finiremo.

Neppure io leggendo penso a maschi e femmine, è questa discussione che me l'ha fatto venire in mente.
Non ho mai letto i Vangeli apocrifi, ma ho seguito alcune trasmissioni della rai.
E non ho neppure visto Brian di Nazareth; da quel che all'epoca lessi, doveva proprio fare l'effetto che hai detto tu.

Aletto
25-01-2024, 22:16
…..
Non ridere, ero alla ricerca di indizi: da dove veniamo.
Ti do la risposta
https://m.youtube.com/watch?v=WGQ7JZRZ65M&pp=ygUOcXVlbG8gZ3V6emFudGk%3D

Iska
26-01-2024, 13:25
Se cercassi la risposta dentro di me, certo che sbaglierei!
Esattamente come sbaglierei cercandola nelle religioni, nei miti.
Sbaglierei anche cercandola nella scienza, che ora come ora mi può dare nella migliore delle ipotesi solo risposte parziali; tutto ciò che è umano è in divenire e ce n'è ancora così tanta di strada da fare!

Quelle letture per me sono state la linea di confine tra un "prima di" e un "dopo di"... e l'ulteriore "dopo".
Avevano il solo scopo di ricerca di un eventuale piccolo indizio.
Ma la realtà supera di gran lunga qualsiasi fantasia.

Aletto
26-01-2024, 16:04
Se cercassi la risposta dentro di me, certo che sbaglierei!
Esattamente come sbaglierei cercandola nelle religioni, nei miti.
Sbaglierei anche cercandola nella scienza, che ora come ora mi può dare nella migliore delle ipotesi solo risposte parziali; tutto ciò che è umano è in divenire e ce n'è ancora così tanta di strada da fare!

Quelle letture per me sono state la linea di confine tra un "prima di" e un "dopo di"... e l'ulteriore "dopo".
Avevano il solo scopo di ricerca di un eventuale piccolo indizio.
Ma la realtà supera di gran lunga qualsiasi fantasia.
Scienza non è credenza, credere non è un verbo che si può applicare alla scienza. Altrimenti sarebbe uguale ad una religione.
Questo è un malinteso dilagante, direi infestante, mentre invece la parte più importante è il metodo scientifico che non darà mai verità assolute, per fortuna.
Il pensiero scientifico, il ragionamento, quello solidamente assimilato, si nutre di dubbi.

Per me il prima e il dopo fu tracciato tanti anni fa: mentre disegnavo e un mio amico leggeva ad alta voce Hamingway. Tutto qua.

Iska
26-01-2024, 17:45
Ho solo parlato di cercare, forse mi sono espressa poco chiaramente, ma non ho mai inteso assimilare la religione e i miti alla scienza.
Alle prime due si crede ciecamente, per fede, sono immutabili, ma non fa per me.
La scienza con i suoi dubbi è un continuo divenire e per fortuna, proprio come dici tu, altrimenti sarebbe l'ennesima e immutabile credenza.
L'unica credenza che mi piace è quella che apparteneva a mia nonna.


Gli occhi li tengo aperti; fosse anche solo attraverso una fessura, voglio vedere, per così dire...toccare con mano (e a volte anche letteralmente), avere delle prove concrete.
Un po' alla S. Tommaso, per intenderci.
Il mio prima e dopo risale a quando avevo 17 anni, è un ricordo indelebile.

Aletto
26-01-2024, 18:37
sì, è vero, eri alla ricerca di indizi, da dove veniamo e come finiremo.
Ricerche che in realtà non ho mai intrapreso, per questo fatto commentare a Guzzanti.

Iska
26-01-2024, 20:02
Non ho mai avuto particolare curiosità in merito, a quell'età vivevo il presente, poi c'è stato quell'avvenimento così imprevedibile, così inaspettato, così follemente entusiasmante e allo stesso tempo spiazzante, che mi ha costretto a mettere in discussione le mie granitiche certezze di profondamente scettica diciassettenne.

"I’ve seen things you people wouldn’t believe"
Non ho mai visto il film da cui è tratta questa frase.
Non ne ho visti neppure altri; è un genere che non mi è mai interessato.

Aletto
26-01-2024, 20:35
Io lo vidi, non è tanto il genere ma quello che trasmette, come viene percepito.
Forse hai fatto bene a non vederlo.