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Vecchio 10-02-2017, 23:38   #9
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SerenaF
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Predefinito Re: Il nostro comportamento ed uno delle sue consguenze: l'antropocentrismo

Ok, ribatto anch'io, sperando che il mio post non diventi una panacea per l'insonnia

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Originariamente inviato da Aletto Visualizza Messaggio
@ Serenaf


-Ma perché devi fare categorie non umane, farle significa fare categorie non gabbiano, non cane, non coccodrillo. Dal mio punto di vista: fare categorie non umane? perché sei umano? allora vuol dire non solo essere antropocentrico ma anche specista
Le categorie sono umane o non umane, perché umano è il soggetto conoscente (non nel senso che per definizione qualunque oggetto conoscente sia umano, ma in questo caso lo è, si dà il caso che lo studioso di etologia appartenga alla specie umana); che categorie potrebbero essere altrimenti? Insomma, siamo di fronte ad un paradosso gnoseologico/epistemologico: possiamo pensare in maniera non antropocentrica partendo da categorie antropocentriche? (Ho cercato di spiegare meglio questo concetto più avanti, ma temo di aver fatto solo un gran casino.) Forzatamente e inevitabilmente antropocentriche, direi, perché il centro prospettico è l'uomo in quanto soggetto conoscente.

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-La relazione con l'animale secondo me non deve prevedere cosa in tal animale non è. L'animale è, io sono, o dovrei prevedere che anche qualcosa in me non è? E dove ci porta questo ragionamento?
Non ci porta da nessuna parte, perché finché dico semplicemente che l'animale è, sto usando il verbo essere in senso esistenziale. Anche Cartesio e La Mettrie riconoscono tranquillamente che l'animale è, che è un animale e che non è un uomo. Semmai, il primo, avrebbe qualche difficoltà a riconoscere che l'uomo è animale o che è soltanto animale, La Mettrie è più democratico (siamo tutti macchine e ci comportamo tutti in maniera strettamente deterministica). Per comodità rispondo ad un'altra osservazione, logicamente attigua, anche se nell'ordine del tuo post viene dopo.

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-Antropocentrismo etico: mi identifico come uomo, ho l'identità di uomo: non diventa tautologico? Considera che seguo conferenze di un filosofo antispecista e mi riporto a casa gli audio, se qualcosa non ti torna più di tanto non posso fare
Non è solo a me che non tornano le cose, è a buona parte della tradizione filosofica: "tautologia", come certamente saprai, deriva da "tauton" (equivalente greco del latino ipsum) e "logos" che ha la stessa radice del verbo "legein"=dire, quindi "dire la stessa cosa". Dire "io che sono uomo mi identifico in quanto uomo" è semplicemente l'affermazione del principio di identità, è come dire A=A o "il tordillo peloso ha l'identità di tordillo peloso" (l'unica che forse sa cosa siano o li abbia mai visti é Luna Lovegood, il personaggio di Harry Potter e difatti ho preso l'ispirazione da lei): lascia del tutto irrisolta la questione di cosa sia un uomo e quali qualità gli si debbano riconoscere come inerenti alla sua essenza. Anche dire che l'uomo è al centro (antropocentrismo tautologico significa questo: l'uomo è al centro, è copula mundi) non vuol dire che all'uomo spettino privilegi speciali rispetto al resto del creato, questo è qualcosa in più che non è contenuto nell'idea della centralità dell'uomo. Ma c'è di più: la tautologia riguarda il piano logico, teoretico, la supremazia dei diritti quello pratico. Tra i due c'è un salto, come ben ricordava il caro vecchio Hume.

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- Secondo me non è facile tuttora pensare al di fuori dell'antropocentrismo, ma ci si può decentrare perché non siamo il centro del mondo e perché non è il sole che gira intorno alla terra
No, no, io non mi sto chiedendo se sia facile pensare al di fuori degli schemi antropocentrici, mi sto chiedendo se sia proprio possibile farlo; ti faccio un esempio. Avrai certamente presente il romanzo di fantascienza Solaris, in cui c'è una stazione orbitante abitata da scienziati con vari tipi di specializzazioni, tra cui il protagonista che è uno psicologo, che cercano di studiare Solaris, ovvero il pianeta attorno a cui orbitano e il suo unico, immenso abitante: l'oceano che ne ricopre l'intera superficie. L'autore del libro, Stanislav Lem, era affascinato dal tema delle intelligenze aliene, a cui aveva dedicato anche alcuni romanzi giovanili; ora è palese in tutto il libro secondo me lo sforzo, peraltro vano, degli scienziati di arrivare sia di stabilire un qualche contatto, sia soprattutto di capire come diavolo ragiona 'sto benedetto oceano e perchè fa certe cose (da alcune costruzioni colossali, alle allucinazioni che invia loro) e per farlo ricorrono a tutta una serie di categorie: coscienza, volontà, intenzione, ecc..., solo che o tali categorie non ci azzeccano con questo oceano oppure hanno un significato talmente diverso per lui che gli scienziati non riescono comunque a cavare un ragno dal buco. D'altra parte, potrebbero arrivare a conoscerlo e a comprenderlo meglio, se rinunciassero a queste categorie? L'autore non lo dice, anzi non arriva nemmeno a tematizzare la domanda in maniera esplicita, però secondo me la risposta è no: l'insieme delle categorie che definiscono l'agire umano è l'unico arsenale logico, per quanto imperfetto o forse pesrino del tutto inadatto a cogliere Solaris, di cui dispongono per cercare di afferrarne la realtà. Ora, siamo d'accordo che cani, gatti, topi, cavalli... non sono certo intelligenze così aliene come Solaris, ma la domanda più o meno rimane identica: possiamo davvero pensare al di fuori delle categorie antropocentriche o queste rappresentano, kantianamente, una specie di struttura trascendentale del soggetto, al di fuori della quale c'è non una conoscenza migliore e più appropriata, ma le tenebre dell'impensabile e dell'ineffabile (in senso letterale)? Devo ammettere che, a scrivere queste domande a quest'ora della notte. mi sento molto Gigi Marzullo.


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-L'amicizia, il rispetto, la morale e l'altruismo non sono non sono prerogative umane come già osservò Skinner (o era Thorndike ) con i suoi esperimenti con le sue dannate scatole
Questo non dimostra che non abbia considerato la faccenda da una dimensione antropocentrica usando concetti plasmati sull'uomo.


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-Tu guarda Chiquita come si dissolve tranquillamente nella tua alterità e tu fa' altrettanto, non mettere distanze che lei non mette
Eh, no, calma: la fusione affettiva è il contrario del riconoscimento dell'alterità che invece crea e/o presuppone una distanza. Prendi la filosofia di Levinas che ha costruito tutta la sua riflessione filosofica sull'idea di alterità assoluta; lui definisce l'alterità come distanza, addirittura usa il termine trascendenza. L'unica situazione in cui fenomenologicamente questa distanza si annulla o si accorcia (=l'esperienza erotica come fusione di anime e di corpi) è quasi una desacralizzazione dell'alterità, un suo abbassamento che solo la fecondità, a cui questa può approdare, contribuisce in qualche maniera a riscattare.
Va beh, sono un po' partita per la tangente, complicando le cose più del necessario. Mettiamola così: o c'è fusione o c'è alterità.

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-se all'altro animale do gli stessi diritti miei lo omologo all'uomo, se gli do i suoi diritti, no. Ma su questo dibatte la filosofia chiedendosi come faccio a dare diritti a chi non sa che li avrà? allora non si dovrebbero dare neppure ai pazzi, ai bambini, o alle persone in coma, e diventa specismo nell'ambito della nostra stessa specie. Se ritrovo l'audio te lo dico
E quali sono i diritti peculiari degli animali? O dobbiamo riconoscere che i diritti pertengono alla sfera più ampia del vivente? Un'altra domanda: è possibile riconoscere diritti svincolati dalla loro controparte, i doveri? Riconoscere soltanto l'uomo come soggetto di doveri e quindi di obbligazione etica non ne riafferma in un certo senso il primato in campo morale?

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-E chi sta in città come noi, a dirla tutta dandomi la zappa sui piedi perché vivo in città, non dovrebbe tenere i gatti chiusi in casa.
Bene, domani (adesso è tardi, non ho voglia di scendere anche perché fa freddino) sbatto le befane fuori per la strada, così finalmente le faccio vivere in maniera conforme alla loro vocazione specifica.
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