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Vecchio 16-01-2023, 03:56   #4
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leucio
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Predefinito Re: Sull'animalità, anche la nostra

Sono stato due ore come un cretino con la penna in mano a cercare di organizzare una scaletta per stendere in forma decente un flusso di riflessioni, idee, citazioni e commenti. Niente da fare, così sono partito all’assalto, lasciando che le idee fluissero liberamente. Un’altra oretta buona l’ho passata a digitare furiosamente direttamente sul forum, e alla fine è andato tutto perduto. Non so se è un segno del destino, ma piuttosto che trascinarmi per tutta la giornata di domani il nervosismo per aver rinviato alle calende greche l’urgenza di scrivere, preferisco rischiare la nottata, e ricomincio daccapo usando il sistema di Aletto: prima si compone in pages, e poi si copincolla in cinque minuti sul forum. Una tazzina di caffè, come ai vecchi tempi, e si (ri)parte.
Si parte con una domanda semplice semplice: perché è così difficile riconoscere la nostra animalità? Per quali motivi un discorso del genere resta da sempre confinato all’interno di una cerchia ristretta di accademici, e non esce da lì, non contribuisce a determinare un’analisi, una prospettiva diversa nel dibattito culturale (e politico)?
Forse perché ‘‘fabula de te narratur’’, in realtà si parla proprio di noi, delle nostre vite, della natura predatoria, sempre più vorace ed insaziabile, che le nostre società hanno assunto col passare dei secoli, fino ad arrivare al punto che la crescita illimitata di ricchezze e profitti a danno del pianeta e di tutte le forme di vita presenti su di esso stanno mettendo in discussione, in un tempo non troppo lontano, la stessa sopravvivenza di molte specie, compresa la nostra. Si profila uno scenario in cui alla vecchia contraddizione tra capitale e lavoro, che ha caratterizzato lo scontro politico per tutto il secolo breve, si affianca una contraddizione ancora più radicale, che pone sempre più in antitesi lo sviluppo dei sistemi economici che abbiamo inventato per sopravvivere e crescere e la nostra stessa vita. Sistemi economici che si sono strutturati in società, in apparati di potere che del controllo dei corpi e delle relazioni sociali hanno fatto un’arte raffinatissima.
Qui può tornare utile quello che sosteneva un pensatore che con l’etologia non aveva molto a che vedere, ovvero Michel Foucault: è attraverso la creazione di stigmi infamanti che si avviano le procedure di controllo ed esclusione, di negazione della dignità di interi gruppi delle società umane. La barriera del logos di cui parla con rara efficacia Aletto, non è altro che una ben codificata procedura ‘‘burocratica’’ di reificazione (trasformazione di un soggetto in oggetto) e di annullamento. In questo senso lo stigma, il marchio animale/animalesco evoca potentemente le terribili forze dell’irrazionale, gli incubi ed i terrori ancora impiantati negli strati più profondi del nostro cervello, che ci derivano dai nostri primi progenitori su questo pianeta. La ferocia, la violenza incontrollabile nelle sue forme più assolute. Ma nelle stesse aree del cervello in cui hanno sede questi ricordi profondi, metabolizzati nella nostra dimensione istintiva, albergano anche altre caratteristiche: il prendersi cura, l’empatia, la solidarietà. E ancora, quelle forme di relazione altissime che prescindono dal logos, come la comunicazione tra due innamorati, che possono stare per un tempo infinito dicendosi tutto con lo sguardo, con un sorriso, senza emettere alcun suono, ascoltando le vibrazioni ed i tremori appena accennati del corpo senza magari nemmeno toccarsi, o al massimo sfiorandosi appena. Quelle forme che, sublimate dalla trasposizione artistica, noi consideriamo come fra le più alte espressioni della nostra diversità di specie, fanno invece parte, a pieno titolo, del nostro bagaglio animale.
E allora, forse è ora di pensare davvero a fare pace con noi stessi, con la nostra natura. Ma non la pace ecumenica, il classico ‘‘volemose bene’’ concluso con una bicchierata. Si tratta di capovolgere, destrutturare alcune idee su di noi, sul nostro stare al mondo, operando alcuni radicali cambi di paradigma.
Osando la follia dell’utopia, di una nuova ‘‘onnilateralità’’ del genere umano che investa e ridisegni le relazioni tra i membri della nostra specie e l’insieme delle forme di vita che popolano il pianeta. Almeno come utopia, come tensione ideale verso la direzione della ricostruzione di un equilibrio tutto da inventare.
Sapendo che purtroppo la situazione concreta, reale, in cui ci troviamo ad agire, da cui necessariamente dobbiamo partire, è quella descritta dal prof. Cimatti. L’analisi è dura, spietata ma precisa. ‘‘Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” Da spezzare le ginocchia a un rinoceronte, è vero. Ma se non si comincia, con fatica e gioia, con dolore ed entusiasmo, la meta non sarà raggiunta mai.
Mi fermo qui. Il senso è più o meno lo stesso di quello che avevo sanguinosamente scritto. Qualcosa è saltato, qualcos’altro non ricordo bene come l’avevo inserito, e ho preferito lasciar andare così. Ora, ‘‘me cala la palpebra’’, e di brutto.

Ultima Modifica di leucio; 16-01-2023 at 04:04.
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