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Vecchio 18-01-2023, 00:20   #6
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leucio
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Predefinito Re: Sull'animalità, anche la nostra

Ho aspettato un bel pò prima di scrivere ancora, anche se morivo dalla voglia di farlo. Speravo che nel frattempo qualche altro forumista avesse aggiunto ‘‘carne a cuocere’’. Invece, niente.
Meglio rischiare di trasformare questa discussione in un ‘‘duetto con Aletto’’ (il giochino richiama l’effetto sonoro di ‘‘rumble in the jungle’’, ma ovviamente non ha nulla a che vedere con il match Alì-Foreman del ’74 a Kinsasha), che lasciare che si spenga in un vuoto pneumatico di indifferenza. Non è giusto che ogni volta che si apre uno spazio di discussione su questioni appena appena più impegnative della soluzione di un problema clinico o comportamentale, cali la mannaia di un'indifferenza raggelante. Come se questo forum non fosse uno spazio, un'occasione per una crescita anche culturale di tutti i suoi iscritti. A partire dal sottoscritto, sia ben chiaro.
Nelle regioni cerebrali del cervello primordiale, quello che viene chiamato il ‘‘cervello animale’’, hanno sede i nostri incubi più profondi e terrificanti, le paure ancestrali scolpite a lettere di fuoco nel patrimonio genetico che ci caratterizza come specie. In quelle stesse regioni trovano però la loro origine anche pulsioni, reazioni altrettanto istintive, ‘‘animali’’, quali l’empatia, la solidarietà, il senso di giustizia. Il nostro cervello animale, quindi, non è affatto la sentina di tutti i mali, il luogo della perdizione, la zavorra che ci impedisce di assurgere a forme ancora più elevate di conoscenza. E’ quello che ci tiene, bene o male, ancorati alle altre specie viventi, perché ci porta in dote l’eredità di quello che abbiamo affrontato in un lontanissimo ieri, quando il nostro livello di sviluppo psicofisico ci rendeva molto più simili a loro, gli animali non parlanti, privi del logos, di quanto non lo siamo oggi.
E’ una parte del cervello che conosciamo poco e siamo capaci di usare ancor meno in modo consapevole. Ma è in noi, siamo noi. La nostra animalità è tutta racchiusa nelle potenzialità infinite di questa parte della nostra mente, ed è da questo punto che è possibile partire per un viaggio favoloso che ci porti a riprenderci tutta intera la dignità e la capacità di vivere completamente la nostra natura: il logos e i quanti da un lato, l’empatia, la comunicazione non verbale, la marea impetuosa dei sentimenti dall’altro. Forse, i fondamenti di una nuova onnilateralità.
Non a caso (forse), nell’Orestiade, il mito classico della nascita della potenza dell’antica Grecia messo in scena da Eschilo, Atene diventa quel simbolo di arte, cultura e potenza militare che tutti abbiamo studiato a scuola, quando accoglie come sue divinità protettrici la dea della razionalità (Pallade Atena) e le Erinni, le temibili figlie della Notte e del fiume infernale Acheronte, le divinità di un antico mondo ancestrale. E' questo equilibrio che segna l'inizio di un'ascesa irrefrenabile, che farà della capitale dell'Attica la Signora del Mediterraneo fino all'avvento della potenza di Roma antica.
Messa così sembra facile, è vero; sembra un comiziaccio da assemblea studentesca degli anni ’70 (arte in cui eccellevo, lo confesso). Sono necessari studi molto più approfonditi, sofferti e difficili di quanto io sia disposto ad immaginare. Accanto a questa indispensabile attività di ricerca, però, conta anche qualcosa la nostra capacità di sperimentare, nella piccola pratica del rapporto quotidiano con i nostri gatti, l’incontro tra uguali, spogliandoci della nostra boria -mi verrebbe da dire- di primi tra i primati.
Ascolto, vero: re Feisal Saud, fondatore della dinastia che governa l’Arabia che da lui si chiama saudita, diceva che Maometto ci ha dato due orecchie ed una sola bocca per ascoltare di più e parlare di meno (ma nulla ha detto sullo scrivere ). Osservazione, cioè guardare E vedere insieme, con il cuore aperto come il carburatore di una Formula 1 lanciata a tutta velocità, e cuore e cervello che lavorano come due pistoni. E desiderio, desiderio infinito, appuntito e giocoso di comunicare cercando un terreno comune, un’intesa, un rituale sempre nuovo da mettere in scena, sapendo che siamo sempre alla pari, al 50%, e quindi tante volte è da lui, dal nostro gatto, dalla sua infinita sapienza che viene la soluzione, il gesto che consente di spalancare le porte di una nuova piccola conquista di comprensione. Usando certo anche le nostre risorse di specie, ma senza pensare mai che siano le uniche possibili. E soprattutto, quindi, la sincera disponibilità ad imparare da lui.
Cosa capisce il gatto quando gli parliamo? Forse il nostro stato d’animo, il senso generale, l’emozione che vogliamo trasmettergli. Se io leggessi questo papiello ad Averno, lui sbadiglierebbe molto prima di voi, e se ne andrebbe a giocare con le sue scatole di cartone o fuori al balcone. Se gli dico la parola pappa, deve essere già attento di suo per reagire predisponendosi al pasto, ma se gli canticchio la canzoncina con cui quando era piccolino gli annunciavo che era giunta l’ora di mangiare, lui qualsiasi cosa stia facendo corre sul tavolo starnazzando come un paperottolo pavloviano, e comincia il rituale della pappa, sempre vario e troppo lungo da raccontare.

Ultima Modifica di leucio; 18-01-2023 at 00:26.
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