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Vecchio 15-01-2023, 11:25   #1
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Aletto
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Predefinito Sull'animalità, anche la nostra

Animalità
o più propriamente, «di ciò che si chiama, con un singolare generale che mi ha sempre scioccato, l’Animale» (Deridda) implica il pensiero filosofico.

“L’animale, che parola! Una parola l’animale, un nome che gli uomini hanno istituito, un nome che essi si sono presi il diritto e l’autorità di dare all’altro vivente.” (Deridda)
La parola “animale” focalizza e confina l’esistenza all’interno del pensare, e alla fine si ripiega su se stesso, sul nostro pensare, sul nostro pensiero e, cartesianamente, su noi stessi.
L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano; per questo l’animale non esiste, perché non esiste questo chimerico vivente che pretende di riunire in sé tutti gli altri viventi.
L’animale è letteralmente una parola, una entità linguistica.
Ma l’animalità mi segue e “io” faccio finta di non vederla. In questo sistema, l’animale guarda l’uomo ma l’animale non si pronuncia perché egli E’ la sua vita.

La cosa più importante non è vederli, ma essere visti. Se il “qualsiasi” ti guarda, tutto cambia, perché sei tenuto a dar conto a un soggetto prima inesistente o esistente solo linguisticamente.

Se mi guarda esiste.

È il logos (la parola) che traccia un solco profondo fra gli animali umani e i viventi non umani, come all’interno della stessa specie umana. Lo schiavo, il barbaro, la donna, il bambino non appartengono alla sfera pubblica perché non hanno il logos, perciò sono privi di quella libertà che emancipa dalla natura ed eleva l’uomo alla politica e alla scelta etica fra il bene e il male.
E’ tramite l’assenza del logos che mettiamo una barriera.
E quando guardandoli (e amandoli) pensiamo la famosa frase “gli manca solo la parola” è come se li accettassimo nonostante quell’ handicap che li rende inferiori e mettiamo l’accento sulla diversità non del tutto accettata.
Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive.

“La soggettività è uno stare nel mondo, e affrontare problemi comuni alla condizione dell’essere animali – alimentarsi, apprendere, difendersi, ecc. – ma farlo in un modo specifico. Il biocentrismo è il riconoscere il policentrismo dell’essere animali, l’idea che ogni specie e ogni individuo declina in modo singolare questo stare nel mondo e affrontare i problemi della condizione animale. Ecco allora che l’essere animale è qualcosa che “mi riguarda” e che “posso capire”. (R.Marchesini)

In quel “posso capire” c’è l’incontro con l’altro che è simile, e non uguale.
(tratto dalla tesi di laurea Ontologia dell'animalità di Nicola Zengiaro)

Cosa è successo agli animali mentre ci pensavamo come altro da loro? Quello che abbiamo fatto agli animali, non solo è gravissimo, ma è eterno. Creiamo la vita per distruggerla. Inoltre, il gesto che dipinge la più grave e ignorata delle sofferenze, è il "fondamento della miseria" e ciò che ricerchiamo quando, con altrettanta miseria, discriminiamo anche gli animali umani. (L. Caffo)

"Gli animali sono fra noi, la nostra vita è impossibile senza la loro, eppure non riusciamo davvero a vederli. Siamo doppiamente ciechi: non sappiamo quasi niente dell’animalità degli animali non umani e ignoriamo la nostra. Sinora la filosofia si è limitata a tracciare il confine fra loro, gli animali, e noi, gli umani. Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi: non parlano, non pensano, non ridono e così via. È come cercare di capire l’Homo sapiens chiedendosi se abbia o no piume o branchie.

L’animalità non riguarda i gatti le scimmie ecc, ma riguarda noi e il corpo che siamo col quale avviene il primissimo incontro con la nostra animalità. E la prima richiesta che ci viene fatta, guarda caso, è mettere il nostro corpo in gabbia, la gabbia degli umani. Abbiamo anche potere sul nostro corpo: lo facciamo ingrassare, dimagrire, se non ci piace gli cambiamo i pezzi, decidiamo di uccidere o non uccicere. Lo trattiamo esattamente come trattiamo gli animali non umani. Finché ci sarà un soggetto che tratta sé stesso così, inevitabilmente tratterà allo stesso modo tutto l’ambiente che lo circonda.
Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” (F.Cimatti)
La riflessione di Cimatti sull’animalità per me è stata una pugnalata.

Grazie per chi ha letto.


"Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne
Aletto non è collegato   Rispondi Citando Vai in cima