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Vecchio 25-01-2024, 21:46   #3
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Aletto
Supergatto
 
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Predefinito Re: Che bravo quell’elefante! O forse no? (video)

Proprio perché non siamo macchine, il pensiero è soggetto a revisioni, banalmente: era simpatica/o, provavo empatia, col tempo abbiamo stretto amicizia ma poi si è rivelata/o una persona con la quale non riuscivo più a condividere nulla, e, ovviamente, viceversa.
Anche la memoria, non essendo quella di una macchina, è soggetta a fallacie di qualunque tipo: avevo ragione, avevo torto, avevo un fatto questo o quell’altro e muta al nostro mutare delle percezioni; alcuni confessano anche reati non commessi sicuri di essere loro stessi i colpevoli.
Le emozioni condizionano il ricordo. Questo perché non siamo macchine. E se l’emozione vissuta ha dato quel risultato, continuerà a darlo. La modifica dei ricordi emozionali (stavolta) richiede una fatica che non è paragonabile al beneficio. E' una cosa di cui dobbiamo sentire la necessità per metterci tanto impegno per risolvere un qualcosa che percepiamo come un problema/impedimento.
Ma, a mio avviso, questo ragionamento non ci porta da nessuna parte, o almeno non mi porta dove vorrei ossia al motivo del comportamento altruistico intra e interspecifico.
Ci sono i camosci che organizzano a turno l’asilo per far riposare gli altri genitori. C’è anche chi adotta i cuccioli degli altri. I suricati sono dei geni dell’organizzazione altruistica. Le api non ne parliamo. Perché la selezione naturale dovrebbe favorire un comportamento che beneficia gli altri?
Nel caso dell’altruismo intraspecifico nel ’70 uscì su Nature un articolo molto importante che fotocopiai anni dopo per non perderlo. Parlava della kin selection (selezione parentale) facilitata dal comportamento altruistico, intraspecifico però!

Se lasciamo che solo il soggetto che compie l’atto di altruismo interspecifico sappia perché lo ha fatto, lasciamo sì una doverosa libera interpretazione e creatività del comportamento, ma, allo stesso tempo, come dici, restiamo spiazzati. Per questo il metodo biologico evoluzionista si chiede il perché ci spiazza e, a pensarci bene, torniamo a quel “pennacchio” che è inquadrato in una exaptation.
Con il cane abbiamo la condivisione millenaria di una socialità che si è ibridata vivendo gomito a gomito, questo risultato dell’ibridazione non ci dovrebbe stupire.

Qualunque cosa avesse in testa quell’elefante, che si è addirittura allontanato dal suo gruppo e -guarda caso- nessuno lo ha seguito, secondo me è un sottoprodotto di una struttura comportamentale uscita fuori dal suo contesto. Che poi in inglese byproduct non è solo sottoprodotto che è un po’ bruttino, come fosse materiale di scarto, ma è anche “effetto secondario” che a noi suona un po’ meglio.
Noi umani abbiamo una gran quantità di questi sottoprodotti del pensiero.

L'antropomorfizzazione è insidiosa, come un sottoprodotto del pensiero.


"Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne
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