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Vecchio 08-02-2023, 22:37   #29
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Predefinito Re: Sull'animalità, anche la nostra

Forse l’esempio di Mancuso ci ricorda una nostra specifica caratteristica di specie: non a caso si dice che il miglior modo per nascondere un albero è ripiantarlo in una foresta. Una caratteristica che sta diventando sempre di più un limite.
Noi vediamo, ma non sappiamo più guardare. Né il mondo che ci circonda, né noi stessi. Sempre più spesso deleghiamo le nostre scelte, anche quelle più personali, a macchine, a modelli matematici, ad algoritmi. Sotto un profilo ‘macro’ la cosa è forse necessaria ed inevitabile (entro certi limiti, naturalmente): basti pensare ai supercalcolatori, i giganteschi server su cui corre l’economia finanziaria, macchine che sul mercato agiscono spesso al posto dell’operatore umano, grazie a velocità di calcolo inimmaginabili. E che spesso, proprio per la estrema velocità e ‘meccanicità’ della loro reazione di fronte ad un movimento anomalo dei flussi finanziari, causano lo stesso danni significativi, come è capitato almeno un paio di volte nell’anno appena trascorso.
Lo stesso meccanismo di delega si riversa, senza trovare significativo contrasto, ma anzi, salutato come un passo in avanti verso la modernità ed il futuro, anche nel nostro piccolo quotidiano. L’uso smodato dei cosiddetti ‘social network’ sta creando un’umanità sempre più sola, deprivata della sua capacità di relazionarsi con altri esseri viventi. Quante volte vi è capitato di trovarvi in una situazione conviviale con alcuni amici, e scoprire che dopo dieci minuti ognuno si immerge nell’algido candore dello schermo dello smartphone?
L’inaridimento delle relazioni umane, la nascita di realtà virtuali parallele in cui è possibile credere di vivere in un mondo illusorio, disancorato dalla realtà come promette di essere l’ultima follia del Metaverso, e soprattutto la messa a valore dell’immensa mole di dati che si accumulano e commerciano in rete, che ben lungi dal produrre conoscenza e condivisione si rivelano strumenti di controllo di massa e focolai di panico generalizzato (i vari complottismi che nascono e proliferano a partire dalla rete), definiscono un quadro, una prospettiva, un percorso che non lascia intravedere, a breve, una via d’uscita diversa dall’esito catastrofico per la nostra specie che si va sempre più nitidamente delineando. E questo è lo stato dell’arte, secondo me.
E Aletto scrive, nel post di avvio di questa discussione, che si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti, delle corrispondenze attraverso gli sguardi che ricoprono l’animale della propria dignità si risveglia quell’apertura che anela alla vita stessa. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive… E ha perfettamente ragione.
Ha ragione perché, sempre secondo me, se ancora desideriamo inventarci una vita il più piena possibile (perché di questo si tratta, e non di evocare bucoliche e fantasmagoriche Arcadie) dobbiamo riprenderci per i capelli tutti interi. Non come identità immutabili, scolpite per i millenni in una sorta di ‘marmo cartesiano’ (sempre per citare Aletto), ma come esseri viventi, fra gli altri, in divenire lungo un percorso evolutivo tutto da vivere e scoprire.
Coltivare l’utopia, un pizzico di sana follia contro la banalità dell’infame buonsenso quotidiano, contro l’accomodamento all’aria che tira. Studiare, sperimentare, incontrarsi, discutere e anche litigare (perché no?). E’ un lavoro di lunga lena, da passo di montagna. Sperando che ci sia ancora il tempo sufficiente per non morire di noia, terrore e solitudine.
‘Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista’ (citazione di Cimatti ripresa da Aletto nel primo post). E anche se sono tornato a Mancuso, alla sua scimmia nella foresta invisibile, stavolta Cimatti un pizzico di ottimismo (ma solo un pizzico, eh?) lo lascia in bocca. Almeno secondo me.
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