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Gli Amici che ci mancano Una sezione dedicata agli amici del Forum scomparsi, e ai nostri amici pelosi smarriti

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Vecchio 17-02-2020, 15:44   #1
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Aletto
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Un copia incolla colmo di riflessioni scritto dalla mia docente S. Campa, perché di solito davanti al lutto al dolore della separazione io non ho molte parole, non sono stata in grado di scrivere nulla neppure nel recente thread
“Stamattina sono rimasta colpita da quanto accaduto ad una mia amica. Ricoverata in clinica la sua gatta per una peritonite umida nel tentativo di farle somministrare una terapia sperimentale (ad oggi questo tipo di patologia è ancora incurabile), la piccola è morta all’alba nella sua gabbia di degenza. La mia amica non si dà pace perché, dice, nessun gatto vorrebbe morire in un posto simile.

Queste storie muovono ogni volta corde molte personali, mettendoci in contatto con la paura della morte, della separazione e, in questo caso, anche dell’enorme senso di responsabilità di cui ci sentiamo investiti dovendo prendere decisioni importanti sulla vita e il trapasso dei nostri amati animali. In questi anni mi è capitato diverse volte di sentirmi chiedere come faccio a decidere, come faccio a sapere. Qual è il confine tra un temuto accanimento terapeutico da parte nostra (che parla di noi, del nostro rifiuto della separazione) e il diritto del nostro accudito a delle cure portate avanti senza risparmiare nessuna opzione? Le perplessità aumentano se, come in questo caso, il quadro è terminale. Fin dove spingersi? Cosa vorrebbe il gatto, cosa farebbe se fosse lui a poter scegliere liberamente?

Sono domande enormi a cui non credo, in onestà, che esista una risposta definitiva. Né credo che esista una risposta univoca. Perché la verità è che le patologie sono diverse, i gatti sono diversi e le relazioni familiari in cui sono calati sono sempre diversi. Non esiste nessuno al mondo che possa rispondere per noi a queste domande, questa è l’unica verità che mi sento di affermare. Confrontarci con qualcuno, che magari riteniamo “esperto” in qualche misura, può farci sentire meglio, può darci conforto o la sensazione di essere sostenuti. Ma la decisione finale è solitaria, la responsabilità di tracciare quel famoso confine, qualunque esso sia, è sempre e solo nostra.

Posso raccontare cosa faccio io.
Io cerco di aprire il cuore e di ascoltare cosa mi viene chiesto. Due anni fa ho perso Yaya, una delle mie gatte, per un tumore inoperabile ai polmoni. L’ultimo giorno della sua vita era in giardino, come sempre. Ad un certo punto mi ha chiesto di entrare in casa e lo ha fatto con una decisione insolita. Ho subito capito che qualcosa non andava e una corsa dal veterinario è stato il mio primo pensiero. Ma - non saprei spiegare come - qualcosa nel suo sguardo, nel suo accucciarsi nel cantuccio che avevo preparato per lei, persino nella calma che emanava, mi diceva che lei mi stava chiedendo esattamente questo, non altro: ricongiungersi con la sua casa, con le sue persone (all’epoca mia figlia gattonava e Yaya amava starle vicino) e avere il tempo di salutarci. Si è stesa, è entrata in coma ed è volata via nelle due ore successive, al suono della radio accesa come sempre e delle lallazioni di Alice.
Da una parte ho la convinzione “spirituale” che i gatti sappiano “cosa” fare e “quando”, esattamente come lei che, ad un certo punto, ha scelto come salutarci. Quello che cerco di fare io è restare in ascolto, guinzagliare la mia paura e accogliere l’idea che siamo tutte creature di passaggio. Non so se ci sarà mai un ricongiungimento, forse non ho abbastanza fede per questo: mi importa il qui e ora e l’accompagnare con rispetto e discrezione il mio congiunto, come ultima forma di cura che necessariamente parlerà di me e di come la concepisco, che è proprio ciò che rende certe decisioni assolutamente personali e non delegabili.”

Ciao a tutti mici, cani, criceti e a tutti, proprio tutti gli amici che ci hanno lasciato soli con la nostra tristezza che ancora sprofonda senza toccare un fondo


"Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne
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Vecchio 17-02-2020, 16:49   #2
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Misty
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..Da una parte ho la convinzione “spirituale” che i gatti sappiano “cosa” fare e “quando”, esattamente come lei che, ad un certo punto, ha scelto come salutarci. Quello che cerco di fare io è restare in ascolto, guinzagliare la mia paura e accogliere l’idea che siamo tutte creature di passaggio. Non so se ci sarà mai un ricongiungimento, forse non ho abbastanza fede per questo: mi importa il qui e ora e l’accompagnare con rispetto e discrezione il mio congiunto, come ultima forma di cura che necessariamente parlerà di me e di come la concepisco, che è proprio ciò che rende certe decisioni assolutamente personali e non delegabili.”[/I]
Ciao a tutti mici, cani, criceti e a tutti, proprio tutti gli amici che ci hanno lasciato soli con la nostra tristezza che ancora sprofonda senza toccare un fondo
Grazie Aletto, per questo contributo, molto commovente, per me, che ancora sto sprofondando.
Queste parole che ho riportato sono quelle che più mi hanno colpito e che sento molto.


Misty * mamma di Milly e Maya * Crimy, Misty, Pepe e Milù nel mio cuore
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Vecchio 18-02-2020, 08:44   #3
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Aletto
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"......ascoltare cosa mi viene chiesto.......restare in ascolto, guinzagliare la mia paura e accogliere l’idea che siamo tutte creature di passaggio......accompagnare con rispetto e discrezione il mio congiunto, come ultima forma di cura che necessariamente parlerà di me e di come la concepisco.......

Non sono mai riuscita a fare questo, non sono mai riuscita a mettere il guinzaglio alla mia paura per ascoltare cosa i miei congiunti mi stavano chiedendo. Non sono riuscita a farlo né con i miei genitori né con i gatti con cui ho vissuto.
C'era sempre il cosa posso fare e cosa devo fare di materialmente utile e confacente al protocollo da seguire.
Non c'è mai stato l'ascolto di quanto quella vita mi stava chiedendo ma solo l'ascolto di quanto io chiedessi a quella vita


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Vecchio 18-02-2020, 09:35   #4
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ma non è facile capire cosa fare, cosa dire, quale approccio usare. Noi siamo molto aggrappati alla vita che sia la nostra o quella del congiunto perchè non vogliamo lasciarlo andare, ad ogni costo. E' difficile riuscire a mantenere la distanza e la freddezza per avere un pensiero razionale. Inoltre ogni caso è unico quindi non si può nemmeno applicare una regola e dire ok, da ora in poi faccio cosi... Le emozioni prendono il sopravvento. Ogni volta in modo diverso.


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Vecchio 18-02-2020, 10:46   #5
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Sì è difficile capire cosa fare, ma non credo sia questione di distanza freddezza e razionalità, tutt'altro, quanto piuttosto di empatia perché distanti e freddi non lo siamo mai soprattutto mentre siamo in contatto empatico
Perché l'empatia è in realtà una risposta sulla quale abbiamo scarso controllo, e nessuno, a parte qualche psicopatico, è emotivamente insensibile alla condizione degli altri.
Penso che siamo più distanti freddi e razionalmente distorti quando anteponiamo le nostre necessità a quelle di un altro vivente.

Dopo aver fatto il possibile la morte, se deve sopraggiungere, è inevitabile. A quel punto la corsa dal veterinario o in ospedale è inutile e destabilizzante per quella vita che ci chiede solo tranquillità per poter morire

Ripeto, non sono mai riuscita a fare tutto ciò, convinta di offrire il meglio a chi amavo ed amo tuttora.


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Vecchio 18-02-2020, 21:13   #6
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babaferu
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ma non è facile capire cosa fare, cosa dire, quale approccio usare. Noi siamo molto aggrappati alla vita che sia la nostra o quella del congiunto perchè non vogliamo lasciarlo andare, ad ogni costo. E' difficile riuscire a mantenere la distanza e la freddezza per avere un pensiero razionale .
Concordo con aletto, non e' distanza o freddezza, ma empatia e compassione.
Quando mia nonna mori' di un dolorosissimo cancro alle ossa ero al suo capezzale insieme a mia madre e sua sorella. Mia nonna, che era curata a casa, ebbe l'ennesima crisi. Mia zia si mosse per chiamare il 118 ma mia mamma la fermo', tra i rantoli la nonna sussurro' in dialetto: Lasciatemi morire. Mia mamma seppe cogliere quell'invocazione e rispettarla, lasciando che esalasse in pace l'ultimo respiro. Mia zia era decisamente piu' orientata a intervenire ma alla fine capi' anche lei. Fu una lezione di vita dolorosa e straordinaria. Chi era piu' distante tra le 2? Sicuramente entrambe la amavano moltissimo, sicuramente a mia madre costo' molto rinunciare alla speranza che durasse ancora qualche giorno, ma ebbe la capacita' di anteporre al proprio bene cio' che mia nonna voleva in quel momento.
Gli animali non si esprimono a parole ma spero di aver sempre il cuore abbastanza aperto.
Grazie per questa bella riflessione, e' ben vero che ogni situazione e' a se e che non e' facile prendere decisioni, ma penso che parlarne nei momenti sereni ci aiuti a essere preparati nei momenti difficili.
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Vecchio 19-02-2020, 00:53   #7
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King of Pain
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Penso che non ci sia alcuna persona al mondo che non abbia paura della morte. Ma non tanto della morte in sé stessa, è la paura dell'ignoto, la paura di qualcosa di talmente definitivo che ci lascia attoniti, inermi. Noi non sappiamo cosa voglia dire morire. Le religioni ti inducono ( o meglio: incitano) a credere che ci sia un altrove migliore di quello che hai vissuto ma di questo non c'è alcuna prova a meno di non credere a ciarlatani che lucrano sulla speranza delle persone che sperano. Sperano. Sperano che questo altrove esista, ma non ne sono per nulla certi e quindi prima di lasciar andare una persona cara, o lasciarsi andare essi stessi si aggrappano al più tenue filo di speranza pur di non dover affrontare il passaggio estremo. È pura paura. Ce l'abbiamo tutti. Chi dice il contrario mente. Se questa paura non esistesse non esisterebbero nemmeno le religioni, non esisterebbe un concetto di Dio, e probabilmente questo pianeta sarebbe un mondo più vivibile.
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Vecchio 19-02-2020, 12:08   #8
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Muset2005
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Grazie Aletto per questa riflessione che, personalmente, smuove delle corde molto delicate.

Sono estremamente d'accordo con King of Pain... mi ritengo una persona piuttosto riflessiva, tendo a rimuginare parecchio, e a volte mi fermo a pensare al concetto di morte. È difficile che ne parli con qualcuno perché è un argomento spaventoso.

I Pink Floyd (mio gruppo preferito in assoluto) dicevano "And I'm not afraid of dying, anytime would do, I don't mind... Why should I be afraid of dying? You've gotta go sometime..." in un capolavoro di canzone, The Great Gig in the Sky. Tradotto significa "...E non ho paura di morire, potrei farlo in qualsiasi momento, non mi importa... Perché dovrei aver paura di morire? Prima o poi, devi andartene...".

Eppure, nonostante mi sforzi, a me spaventa incredibilmente l'ignoto. Ho sempre fatto fatica a lasciar scorrere, tendo a voler mantenere il controllo. Questo lato di me mi ha portato a soffrire parecchio per cose "stupide", quando i miei piani non andavano come volevo io. Pensare di morire e di non poter più pensare, di non esistere più, mi terrorizza. Non sono neanche sicura di credere nell'aldilà. Certo, è un pensiero confortante, ma non so quanto riesco a crederci sul serio.

Non mi sono mai trovata nella situazione di dover decidere della vita/morte di qualcuno. Se ci rifletto per conto mio, penso che vorrei seguire i desideri di quella persona che, se sta soffrendo, vorrebbe terminare il suo dolore una volta per tutte. E se mai dovrà succedere con un animale, spero davvero di poter capire anche io cosa mi sta chiedendo. Spero di riuscire ad empatizzare, ma chissà se ce la farò.


There are two means of refuge from the misery of life: music and cats.
Matisse sempre con me

Ultima Modifica di Muset2005; 19-02-2020 at 12:10.
Muset2005 non è collegato   Rispondi Citando Vai in cima
Vecchio 19-02-2020, 14:56   #9
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Malinka
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Io non penso che tutti coloro che dicono di non temere la morte stiano mentendo.
Per carità, ci sarà senz'altro chi mente, un modo come un altro per cercare di esorcizzare questa paura.

La mia idea è che chi aderisce a un qualunque tipo di religione potrebbe temere la morte perché teme il castigo che l'attenderebbe per le colpe (vere o presunte) di cui si fosse macchiato nella vita terrena; le religioni sono maestre nell'instillare i sensi di colpa, cominciano fin da quando sei bambino...

Chi non aderisce a nessuna religione non ha questo problema, però potrebbe temere l'ignoto e il pensiero che nulla sarà più come ora gli potrebbe risultare intollerabile e spaventoso...ma è una preoccupazione inutile.
Non avete mai notato che chi si avvicina alla morte già parecchi giorni prima comincia gradualmente a staccarsi dalle cose terrene, essendo oramai proiettato, anche se inconsciamente, verso un'altra dimensione?
Succede agli umani, succede agli animali.

Io sono di quelli che non temono la morte in sè, con buona pace di chi potrebbe pensare che io stia mentendo.
Sono altre le cose che mi fanno paura quando penso alla fine di questa vita terrena: ho paura della sofferenza fisica che potrebbe precedere questo passo, che si tratti di una malattia o di un evento traumatico non fa differenza.

E sono terribilmente angosciata al pensiero della sofferenza che proverebbero coloro che amo e che mi sopravviveranno.

Ho già avuto occasione di confrontarmi a cuore aperto con chi stava per compiere il grande passo e ho toccato con mano quella che era la sua reale paura: sentir male fisicamente.
Ho atteso che quella persona decidesse spontaneamente di intavolare il discorso; sentivo che lo voleva fare e sentivo che non ce la faceva a esternare i suoi pensieri, ma non volevo essere io a parlarne per prima, ho scelto di aspettare che l'altro si sentisse pronto a farlo.
Quello che ne è derivato è la grandissima serenità che ho visto permeare quella persona nei giorni dopo il nostro colloquio e fino all'ultimo attimo di coscienza, perché nonostante le sofferenze fisiche che l'affliggevano, aveva compreso che in quell'ultimo barlume di coscienza non avrebbe sentito più nulla, che il passaggio sarebbe stato lieve come un alito di vento che ti sfiora e se ne va.

Mi sono già trovata nella condizione di dover decidere per altri; è importante rispettare il desiderio di chi non ha voce per esprimerlo, qualunque esso sia.

Con gli animali, dato che la loro vita rispetto alla nostra è molto breve, ho sperimentato un diverso approccio tra la prima volta in cui mi sono trovata di fronte al bivio cruciale e quelle successive.
Con il mio primo gatto gravemente malato non sono riuscita a separare il mio desiderio di tenerlo il più possibile con me, da quella che era la sua volontà.
La paura di perderlo, di non poterlo più vedere, accarezzare, baciare mi ha fatto ignorare il messaggio che a suo modo mi mandava, un messaggio chiaro che avevo scelto di ignorare.
Ancora oggi rimpiango di aver anteposto al suo bene reale il mio egoistico desiderio di non lasciarlo andare.

Da quel giorno ho scelto di ascoltare e rispettare sempre le volontà dell'altro, tanto più che (purtoppo per me perché ci sto molto male) so già con notevole anticipo, per così dire in "tempi non sospetti" quanto tempo ci sarà ancora concesso di vivere insieme. Umani, animali...
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Vecchio 20-02-2020, 09:02   #10
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Aletto
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Vorrei prendere le nostre riflessioni da un altro punto di vista, quello evolutivo.

C’è una dialettica molto complessa nella nostra testa, non c’è semplicemente dicotomia tra bene e male, vita e morte, giusto e sbagliato ecc. Siamo così bravi a cooperare non tanto per cacciare ma per difenderci dai predatori, la nostra è una società difensiva. La morte è considerata un predatore.
Ci sottrae definitivamente quello che avevamo. Ci toglie una vita che sia la nostra o quella di un altro vivente e ci toglie anche la vita che avevamo con quel vivente.
Noi ragioniamo non come predatori ma come prede, quella è la pura paura di King, secondo me, ma forse lui la vede diversamente. La nostra mente è molto brava tramite meccanismi cognitivi transculturali a distinguere tra agenti intenzionali e agenti inerti, tendiamo ad attribuire intenzioni a sequenze di eventi (causa-effetto) e molto spesso iperattribuzione di intenzioni dove in realtà non c’è nessuna intenzionalità.

Insomma questi sono i nostri precursori naturali (concetto un po’ più debole di istinto ma forte perché valido per ogni specie) che vengono convertiti per nuove funzioni e immersi in nuovi contesti e si trasformano e ci portano quella iperattribuzione di causa-effetto (vedi superstizione) –peraltro comune anche negli altri animali (non la superstizione eh!)- intenzionalità e sistemi molto connessi alle basi di credenze religiose, l’agente intenzionale diventa allora molto lontano molto potente e onniscente. Si formano effetti collaterali evolutivi di rifunzionalizzazione di strutture già esistenti (exaptation anche questa) portando a credenze religiose tra l’altro con conseguente rivalità tra i gruppi molto coesi di una religione e quelli di un’altra.

Non penso però che se non esistessero le religioni le cose andrebbero meglio come diceva King perché le sostituiremmo con altri credo, con ideologie ed usanze di ogni tipo che formerebbero comunque gruppi ben coesi e pronti ad aggredire chi non li condivide e che a sua volta è ben organizzato in altri gruppi.
Per via evolutiva, partendo dai precursori naturali, noi siamo nati per credere, e anche se alcuni –me inclusa- non sono credenti nel senso classico del termine, in qualcosa ripongono la loro fiducia che può slittare da uno ad un altro credo qualunque esso sia, vale secondo me anche la “teologia della razionalità”.

Non temo la morte, temo la vita quando sa di essere in prossimità di quel predatore che non può contrastare, anche se a volte si sente dire "si è spento serenamente".

Vorrei che tutti i viventi avessero la possibilità, forse immaginaria e forse no, di spegnersi serenamente


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