Micimiao Forum di discussione per tutti i gattofili e amici degli animali
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15-01-2023, 12:25 | #1 |
Sull'animalità, anche la nostra
Animalità
o più propriamente, «di ciò che si chiama, con un singolare generale che mi ha sempre scioccato, l’Animale» (Deridda) implica il pensiero filosofico. “L’animale, che parola! Una parola l’animale, un nome che gli uomini hanno istituito, un nome che essi si sono presi il diritto e l’autorità di dare all’altro vivente.” (Deridda) La parola “animale” focalizza e confina l’esistenza all’interno del pensare, e alla fine si ripiega su se stesso, sul nostro pensare, sul nostro pensiero e, cartesianamente, su noi stessi. L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano; per questo l’animale non esiste, perché non esiste questo chimerico vivente che pretende di riunire in sé tutti gli altri viventi. L’animale è letteralmente una parola, una entità linguistica. Ma l’animalità mi segue e “io” faccio finta di non vederla. In questo sistema, l’animale guarda l’uomo ma l’animale non si pronuncia perché egli E’ la sua vita. La cosa più importante non è vederli, ma essere visti. Se il “qualsiasi” ti guarda, tutto cambia, perché sei tenuto a dar conto a un soggetto prima inesistente o esistente solo linguisticamente. Se mi guarda esiste. È il logos (la parola) che traccia un solco profondo fra gli animali umani e i viventi non umani, come all’interno della stessa specie umana. Lo schiavo, il barbaro, la donna, il bambino non appartengono alla sfera pubblica perché non hanno il logos, perciò sono privi di quella libertà che emancipa dalla natura ed eleva l’uomo alla politica e alla scelta etica fra il bene e il male. E’ tramite l’assenza del logos che mettiamo una barriera. E quando guardandoli (e amandoli) pensiamo la famosa frase “gli manca solo la parola” è come se li accettassimo nonostante quell’ handicap che li rende inferiori e mettiamo l’accento sulla diversità non del tutto accettata. Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive. “La soggettività è uno stare nel mondo, e affrontare problemi comuni alla condizione dell’essere animali – alimentarsi, apprendere, difendersi, ecc. – ma farlo in un modo specifico. Il biocentrismo è il riconoscere il policentrismo dell’essere animali, l’idea che ogni specie e ogni individuo declina in modo singolare questo stare nel mondo e affrontare i problemi della condizione animale. Ecco allora che l’essere animale è qualcosa che “mi riguarda” e che “posso capire”. (R.Marchesini) In quel “posso capire” c’è l’incontro con l’altro che è simile, e non uguale. (tratto dalla tesi di laurea Ontologia dell'animalità di Nicola Zengiaro) Cosa è successo agli animali mentre ci pensavamo come altro da loro? Quello che abbiamo fatto agli animali, non solo è gravissimo, ma è eterno. Creiamo la vita per distruggerla. Inoltre, il gesto che dipinge la più grave e ignorata delle sofferenze, è il "fondamento della miseria" e ciò che ricerchiamo quando, con altrettanta miseria, discriminiamo anche gli animali umani. (L. Caffo) "Gli animali sono fra noi, la nostra vita è impossibile senza la loro, eppure non riusciamo davvero a vederli. Siamo doppiamente ciechi: non sappiamo quasi niente dell’animalità degli animali non umani e ignoriamo la nostra. Sinora la filosofia si è limitata a tracciare il confine fra loro, gli animali, e noi, gli umani. Non riusciamo a guardarli senza confrontarli con noi: non parlano, non pensano, non ridono e così via. È come cercare di capire l’Homo sapiens chiedendosi se abbia o no piume o branchie. L’animalità non riguarda i gatti le scimmie ecc, ma riguarda noi e il corpo che siamo col quale avviene il primissimo incontro con la nostra animalità. E la prima richiesta che ci viene fatta, guarda caso, è mettere il nostro corpo in gabbia, la gabbia degli umani. Abbiamo anche potere sul nostro corpo: lo facciamo ingrassare, dimagrire, se non ci piace gli cambiamo i pezzi, decidiamo di uccidere o non uccicere. Lo trattiamo esattamente come trattiamo gli animali non umani. Finché ci sarà un soggetto che tratta sé stesso così, inevitabilmente tratterà allo stesso modo tutto l’ambiente che lo circonda. Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” (F.Cimatti) La riflessione di Cimatti sull’animalità per me è stata una pugnalata. Grazie per chi ha letto. "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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15-01-2023, 18:34 | #2 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Io sapevo che gli animali non umani li chiamano 'bestie'.
Lo dice lo stesso Treccani. E' un vocabolo che uso spesso anche io per chiarezza e non certo con intento negativo. Il realtà il confine è più labile, se si pensa agli ominidi e poi alle scimmie, in particolare lo chimpanzè ed il cappuccino (quest'ultimo non è un ominide) che sono entrati nell'età della pietra, ed alcuni tribù di chimpanzè stanno adottando l'andatura bipede. Le filosofie sul rapporto uomo-bestie ecc ecc, a volte mi sembrano tutto un copia-incolla. E allora mi piace fare riflessioni mie, che si discostano da quello già sentito (ma non dev'essere necessariamente l'opposto). Addio Goku, addio Kiwi. Macchia (0y 5m †) - Goku ♥️ (19y 3m †) - Aegir (12y 9m) - Kiwi (2y 0m †) - Olav (3y 6m) |
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15-01-2023, 21:41 | #3 | |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Quote:
"Si tratta dunque di spezzare le soglie che dividono l’uomo dall’animale, nell’atto del “divenireanimale”, in cui attraverso la presenza dei corpi differenti, delle corrispondenze attraverso gli sguardi che ricoprono l’animale della propria dignità si risveglia quell’apertura che anela alla vita stessa. In questo scorrere vitale, partecipiamo tutti in modi diversi a un unico piano d’esistenza in cui l’animalità vive. E ho dimenticato anche di scrivere che il tutto parte dal testo di J. Deridda L'animale che dunque sono, nel quale è descritto il folgorante momento in cui lui nudo in bagno si accorge che la sua gatta lo stava guardando, e lui stava guardando anche sé stesso, un'animalità che gli apparteneva ma che gli era sconosciuta. Da qui, durante la banale quotidianità, nasce la sua riflessione su un argomento che non ha facili definizioni: l'animalità. "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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16-01-2023, 04:56 | #4 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Sono stato due ore come un cretino con la penna in mano a cercare di organizzare una scaletta per stendere in forma decente un flusso di riflessioni, idee, citazioni e commenti. Niente da fare, così sono partito all’assalto, lasciando che le idee fluissero liberamente. Un’altra oretta buona l’ho passata a digitare furiosamente direttamente sul forum, e alla fine è andato tutto perduto. Non so se è un segno del destino, ma piuttosto che trascinarmi per tutta la giornata di domani il nervosismo per aver rinviato alle calende greche l’urgenza di scrivere, preferisco rischiare la nottata, e ricomincio daccapo usando il sistema di Aletto: prima si compone in pages, e poi si copincolla in cinque minuti sul forum. Una tazzina di caffè, come ai vecchi tempi, e si (ri)parte.
Si parte con una domanda semplice semplice: perché è così difficile riconoscere la nostra animalità? Per quali motivi un discorso del genere resta da sempre confinato all’interno di una cerchia ristretta di accademici, e non esce da lì, non contribuisce a determinare un’analisi, una prospettiva diversa nel dibattito culturale (e politico)? Forse perché ‘‘fabula de te narratur’’, in realtà si parla proprio di noi, delle nostre vite, della natura predatoria, sempre più vorace ed insaziabile, che le nostre società hanno assunto col passare dei secoli, fino ad arrivare al punto che la crescita illimitata di ricchezze e profitti a danno del pianeta e di tutte le forme di vita presenti su di esso stanno mettendo in discussione, in un tempo non troppo lontano, la stessa sopravvivenza di molte specie, compresa la nostra. Si profila uno scenario in cui alla vecchia contraddizione tra capitale e lavoro, che ha caratterizzato lo scontro politico per tutto il secolo breve, si affianca una contraddizione ancora più radicale, che pone sempre più in antitesi lo sviluppo dei sistemi economici che abbiamo inventato per sopravvivere e crescere e la nostra stessa vita. Sistemi economici che si sono strutturati in società, in apparati di potere che del controllo dei corpi e delle relazioni sociali hanno fatto un’arte raffinatissima. Qui può tornare utile quello che sosteneva un pensatore che con l’etologia non aveva molto a che vedere, ovvero Michel Foucault: è attraverso la creazione di stigmi infamanti che si avviano le procedure di controllo ed esclusione, di negazione della dignità di interi gruppi delle società umane. La barriera del logos di cui parla con rara efficacia Aletto, non è altro che una ben codificata procedura ‘‘burocratica’’ di reificazione (trasformazione di un soggetto in oggetto) e di annullamento. In questo senso lo stigma, il marchio animale/animalesco evoca potentemente le terribili forze dell’irrazionale, gli incubi ed i terrori ancora impiantati negli strati più profondi del nostro cervello, che ci derivano dai nostri primi progenitori su questo pianeta. La ferocia, la violenza incontrollabile nelle sue forme più assolute. Ma nelle stesse aree del cervello in cui hanno sede questi ricordi profondi, metabolizzati nella nostra dimensione istintiva, albergano anche altre caratteristiche: il prendersi cura, l’empatia, la solidarietà. E ancora, quelle forme di relazione altissime che prescindono dal logos, come la comunicazione tra due innamorati, che possono stare per un tempo infinito dicendosi tutto con lo sguardo, con un sorriso, senza emettere alcun suono, ascoltando le vibrazioni ed i tremori appena accennati del corpo senza magari nemmeno toccarsi, o al massimo sfiorandosi appena. Quelle forme che, sublimate dalla trasposizione artistica, noi consideriamo come fra le più alte espressioni della nostra diversità di specie, fanno invece parte, a pieno titolo, del nostro bagaglio animale. E allora, forse è ora di pensare davvero a fare pace con noi stessi, con la nostra natura. Ma non la pace ecumenica, il classico ‘‘volemose bene’’ concluso con una bicchierata. Si tratta di capovolgere, destrutturare alcune idee su di noi, sul nostro stare al mondo, operando alcuni radicali cambi di paradigma. Osando la follia dell’utopia, di una nuova ‘‘onnilateralità’’ del genere umano che investa e ridisegni le relazioni tra i membri della nostra specie e l’insieme delle forme di vita che popolano il pianeta. Almeno come utopia, come tensione ideale verso la direzione della ricostruzione di un equilibrio tutto da inventare. Sapendo che purtroppo la situazione concreta, reale, in cui ci troviamo ad agire, da cui necessariamente dobbiamo partire, è quella descritta dal prof. Cimatti. L’analisi è dura, spietata ma precisa. ‘‘Ci vorranno anni, molti, per arrivare ad una visione diversa che è troppo evidente per essere vista.” Da spezzare le ginocchia a un rinoceronte, è vero. Ma se non si comincia, con fatica e gioia, con dolore ed entusiasmo, la meta non sarà raggiunta mai. Mi fermo qui. Il senso è più o meno lo stesso di quello che avevo sanguinosamente scritto. Qualcosa è saltato, qualcos’altro non ricordo bene come l’avevo inserito, e ho preferito lasciar andare così. Ora, ‘‘me cala la palpebra’’, e di brutto. Ultima Modifica di leucio; 16-01-2023 at 05:04. |
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16-01-2023, 16:35 | #5 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Quando scrivo su argomenti per me importanti e forse anche per altri utenti, metto sempre prima su word per evitare il più possibile di scrivere boiate, poi copio e incollo.
@ leucio “Per quali motivi un discorso del genere resta da sempre confinato all’interno di una cerchia ristretta di accademici, e non esce da lì, non contribuisce a determinare un’analisi, una prospettiva diversa nel dibattito culturale (e politico)?” Forse perché gli accademici per mestiere devono porsi domande che noi non ci poniamo per far progredire, anche stocasticamente -ma non lo penso realmente-, il pensiero umano che è fonte di cultura condivisa. L’uomo è un animale la cui società si basa anche sulla condivisione di cultura che inevitabilmente, con l’aumento della popolazione, crea bolle. Faccio un esempio, direi, primordiale di trasmissione di cultura: alcuni altri animali vedono in un oggetto un possibile strumento e lo usano ma senza modificarlo trasmettendo ai propri simili cultura. L’uomo invece partendo da un possibile strumento, lo modifica perfezionandone l’uso e lo produce in quantità quasi industriali per quei tempi (quante selci sapientemente forgiate o ossa adatte per cucire abbiamo trovato), e lo usa anche come merce di scambio implementando ricchezza e trasmettendo cultura. L’uomo è un animale diverso che fin da allora traeva profitti dalla trasformazione di materiale grezzo in prodotto finito. Per alcuni paleoantropologi questo è un passaggio importante che ci definisce. “La barriera del logos non è altro che una ben codificata procedura ‘‘burocratica’’ di reificazione (trasformazione di un soggetto in oggetto)” Per me è voracità di una specie che da preda si è trasformata in predatore infallibile di sé stessa. Quel logos negato diventa arma, lo vediamo nella frase comune “non hai voce in capitolo”, e in seguito condanna al silenzio. Il logos rivendicato diventa rivoluzione. Il logos, negli animali anche in assenza della sua manifestazione letterale, può diventare rivolta e aggressione. In questo momento sto pensando a cani e gatti che scappano, cavalli che rifiutano di superare un ostacolo, gli animali nei circhi che fuggono o aggrediscono: tutto riesce ad avvenire senza logos pur di essere sé stessi. “Tutto il gran parlare che si fa degli animali, anche oggi, da parte di etologi, ecologisti, filosofi e scrittori, scienziati e poeti, è soprattutto un modo più o meno indiretto, più o meno consapevole, per parlare di noi, dell’animale che parla. Spesso, peraltro, il benemerito animalismo non parla propriamente degli animali, delle loro vite, ma soprattutto di come pensiamo che sia la loro vita, le loro emozioni, la loro mente. Per questa ragione uno dei pochissimi filosofi che abbia realmente provato a pensare la questione dell’animalità, J. Deridda, sostiene che l’unico animale che conosciamo è l’animot, una parola inventata che fonde animaux (animale) e mot (parola). L’animale che conosciamo, e forse l’unico che possiamo conoscere, è la somma di quanto non riconosciamo come umano.” Cit: Filosofia dell’animalità (F.Cimatti) @VEI-6 Il bipedismo si è presentato più volte durante l’evoluzione, e Homo, bipede, è comparso circa 2,5 milioni di anni fa preceduto da altre specie che potevano sia camminare che spostarsi sugli alberi usando gli arti superiori. Orrorin turgenensis, vissuto 6 milioni di anni fa presentava infatti un’articolazione femore-anca adatta all’andatura eretta senza quel tipico dondolare dei quadrumani a destra e sinistra. Il suo femore differisce da quello delle scimmie e dell'Homo e assomiglia molto a quello dell'Australopithecus e del Paranthropus , indicandoci che era bipede ma non è più strettamente imparentato con l' Homo che con l' Australopithecus . Per essere bipedi, per valutare se quello scheletro era di un bipede, c’è bisogno soprattutto 1) di una particolare articolazione femore-anca, 2) che il forame occipitale sia esattamente alla base del cranio, mentre le scimmie antropomorfe lo hanno leggermente spostato all’indietro. Quel “leggermente spostato” per spostarsi in avanti ha bisogno di centinaia di migliaia di anni nonché, poi, di una speciazione geografica. VEI, è tutto già successo portando alcune specie in un vicolo cieco dell’evoluzione ed altre no. Come tempistica siamo pronti ad accogliere un nuovo Terminator, ma l’evoluzione ha tempi lunghissimi ed esiti incerti. Speriamo sia la volta buona. "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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18-01-2023, 01:20 | #6 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Ho aspettato un bel pò prima di scrivere ancora, anche se morivo dalla voglia di farlo. Speravo che nel frattempo qualche altro forumista avesse aggiunto ‘‘carne a cuocere’’. Invece, niente.
Meglio rischiare di trasformare questa discussione in un ‘‘duetto con Aletto’’ (il giochino richiama l’effetto sonoro di ‘‘rumble in the jungle’’, ma ovviamente non ha nulla a che vedere con il match Alì-Foreman del ’74 a Kinsasha), che lasciare che si spenga in un vuoto pneumatico di indifferenza. Non è giusto che ogni volta che si apre uno spazio di discussione su questioni appena appena più impegnative della soluzione di un problema clinico o comportamentale, cali la mannaia di un'indifferenza raggelante. Come se questo forum non fosse uno spazio, un'occasione per una crescita anche culturale di tutti i suoi iscritti. A partire dal sottoscritto, sia ben chiaro. Nelle regioni cerebrali del cervello primordiale, quello che viene chiamato il ‘‘cervello animale’’, hanno sede i nostri incubi più profondi e terrificanti, le paure ancestrali scolpite a lettere di fuoco nel patrimonio genetico che ci caratterizza come specie. In quelle stesse regioni trovano però la loro origine anche pulsioni, reazioni altrettanto istintive, ‘‘animali’’, quali l’empatia, la solidarietà, il senso di giustizia. Il nostro cervello animale, quindi, non è affatto la sentina di tutti i mali, il luogo della perdizione, la zavorra che ci impedisce di assurgere a forme ancora più elevate di conoscenza. E’ quello che ci tiene, bene o male, ancorati alle altre specie viventi, perché ci porta in dote l’eredità di quello che abbiamo affrontato in un lontanissimo ieri, quando il nostro livello di sviluppo psicofisico ci rendeva molto più simili a loro, gli animali non parlanti, privi del logos, di quanto non lo siamo oggi. E’ una parte del cervello che conosciamo poco e siamo capaci di usare ancor meno in modo consapevole. Ma è in noi, siamo noi. La nostra animalità è tutta racchiusa nelle potenzialità infinite di questa parte della nostra mente, ed è da questo punto che è possibile partire per un viaggio favoloso che ci porti a riprenderci tutta intera la dignità e la capacità di vivere completamente la nostra natura: il logos e i quanti da un lato, l’empatia, la comunicazione non verbale, la marea impetuosa dei sentimenti dall’altro. Forse, i fondamenti di una nuova onnilateralità. Non a caso (forse), nell’Orestiade, il mito classico della nascita della potenza dell’antica Grecia messo in scena da Eschilo, Atene diventa quel simbolo di arte, cultura e potenza militare che tutti abbiamo studiato a scuola, quando accoglie come sue divinità protettrici la dea della razionalità (Pallade Atena) e le Erinni, le temibili figlie della Notte e del fiume infernale Acheronte, le divinità di un antico mondo ancestrale. E' questo equilibrio che segna l'inizio di un'ascesa irrefrenabile, che farà della capitale dell'Attica la Signora del Mediterraneo fino all'avvento della potenza di Roma antica. Messa così sembra facile, è vero; sembra un comiziaccio da assemblea studentesca degli anni ’70 (arte in cui eccellevo, lo confesso). Sono necessari studi molto più approfonditi, sofferti e difficili di quanto io sia disposto ad immaginare. Accanto a questa indispensabile attività di ricerca, però, conta anche qualcosa la nostra capacità di sperimentare, nella piccola pratica del rapporto quotidiano con i nostri gatti, l’incontro tra uguali, spogliandoci della nostra boria -mi verrebbe da dire- di primi tra i primati. Ascolto, vero: re Feisal Saud, fondatore della dinastia che governa l’Arabia che da lui si chiama saudita, diceva che Maometto ci ha dato due orecchie ed una sola bocca per ascoltare di più e parlare di meno (ma nulla ha detto sullo scrivere ). Osservazione, cioè guardare E vedere insieme, con il cuore aperto come il carburatore di una Formula 1 lanciata a tutta velocità, e cuore e cervello che lavorano come due pistoni. E desiderio, desiderio infinito, appuntito e giocoso di comunicare cercando un terreno comune, un’intesa, un rituale sempre nuovo da mettere in scena, sapendo che siamo sempre alla pari, al 50%, e quindi tante volte è da lui, dal nostro gatto, dalla sua infinita sapienza che viene la soluzione, il gesto che consente di spalancare le porte di una nuova piccola conquista di comprensione. Usando certo anche le nostre risorse di specie, ma senza pensare mai che siano le uniche possibili. E soprattutto, quindi, la sincera disponibilità ad imparare da lui. Cosa capisce il gatto quando gli parliamo? Forse il nostro stato d’animo, il senso generale, l’emozione che vogliamo trasmettergli. Se io leggessi questo papiello ad Averno, lui sbadiglierebbe molto prima di voi, e se ne andrebbe a giocare con le sue scatole di cartone o fuori al balcone. Se gli dico la parola pappa, deve essere già attento di suo per reagire predisponendosi al pasto, ma se gli canticchio la canzoncina con cui quando era piccolino gli annunciavo che era giunta l’ora di mangiare, lui qualsiasi cosa stia facendo corre sul tavolo starnazzando come un paperottolo pavloviano, e comincia il rituale della pappa, sempre vario e troppo lungo da raccontare. Ultima Modifica di leucio; 18-01-2023 at 01:26. |
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18-01-2023, 11:39 | #7 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Se anche il logos diventa barriera linguistica, non c’è dia-logo, che ci farebbe arrivare a una verità condivisa ma da rimettere sempre in discussione.
Se non c’è dialogo si può parlare, come dici tu, con la zona limbica del cervello che però non è detto riesca a giungere ad una condivisione di intenti perché quello è il regno delle sacrosante emozioni che se non coincidono con quelle dell’interlocutore bloccano anche quella via di comunicazione. In un momento di emozioni negative, ma di vitale importanza come nervosismo, preoccupazione o paura sarò in grado di non impedirmi l’accesso alle aree elaborative che stanno al di là di queste? Quando il desiderio è sopraffatto dalla barriera dell’indifferenza o dalla paura di mettermi in gioco questa assenza o presenza mi impedirà di scendere in campo. Ma queste le riconosco come barriere? Se non vedo le barriere, anche quelle quotidiane come ad es. il pregiudizio, non esco allo scoperto e resto confinata. VEI-6, che ringrazio, se non sbaglio aveva scritto di preferire di avere idee sue, ma non le ha condivise. La condivisione dialogica con i nostri gatti è senz’altro di tipo emotivo, ma di che tipo emotività? E se li trasformiamo inconsapevolmente nel nostro alter ego? Se diventano scaldini nei quali ci rifugiamo? In questi casi c’è un grande ostacolo, una barriera che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ed il pensiero non riesce ad andare oltre, perché non siamo Leopardi. Non è detto che tutti abbiano studiato l’Oresteide, e non è detto che tutti abbiano pensato “fammi vedere di cosa si tratta”. Come non è detto che tutti sappiano cosa sia il logos. Forse un thread su AI chatGPT sarebbe stato più ben accolto, ma non lo potrei scrivere perché AI la vedo confinata nel determinismo. Link ad un brano che unisce il millenario digeridoo (e che roba è?), uno strumento musicale a fiato degli aborigeni australiani -si vede ogni tanto nel video- molto difficile da suonare perché va suonato sia durante l'inspirazione che durante l'espirazione, alla musica elettronica contemporanea di Aphex Twin. Il video ci catapulta tra gli animali non umani del bush australiano e i più probabili rappresentanti di homo sapiens così come era. https://www.youtube.com/watch?v=AAkFBQ6sIcc - "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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18-01-2023, 20:09 | #8 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
La discussione si fa sempre più avvincente, e giunge ad un punto davvero interessante. In questo momento, non ho il tempo materiale per verificare alcune ''ideuzze" che mi frullano in testa, echi di vecchie letture sepolte da decenni.
Voglio verificare bene alcune cose prima di impostare una nuova risposta, per evitare di fare la figura dell'arronzone. Insomma, non voglio perdermi l'occasione di discutere per bene, in modo più accurato con te. Lo meriti, lo meritano la passione e l'intelligenza che metti nelle cose che scrivi. Permettimi di prendermi un piccolo "time out", prima di riprendere a postare su questo thread . Idealmente, ti abbraccio forte |
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18-01-2023, 22:19 | #9 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Forse sembro intelligente perché ci sono argomenti che mi interessano più di altri, un argomento giuridico o finanziario per me sarebbero un supplizio
"Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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19-01-2023, 15:23 | #10 |
Re: Sull'animalità, anche la nostra
Per le idee, mi sono abituata a non condividerle tanto visto il clima di intolleranza che c'è negli ultimi tempi (Facebook, che ormai guardo solo ogni 10 giorni, lo dimostra). La gente ti toglie il saluto magari perchè dici di non credere al cambiamento climatico antropico (e difatti ho già espresso quest'opinione qui, scoprendo con gioia di trovarmi in un forum tollerante nella media, nessuno mi ha attaccato per questo).
La mia opinione sull,argomento del topic vorrei esprimerla con calma, con un bel copia incolla di un testo scritto in precedenza, evitando la foga col rischio di dire solo 1l 20% del voluto o di limitarmi al 'si, però...' Addio Goku, addio Kiwi. Macchia (0y 5m †) - Goku ♥️ (19y 3m †) - Aegir (12y 9m) - Kiwi (2y 0m †) - Olav (3y 6m) |
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