Micimiao Forum di discussione per tutti i gattofili e amici degli animali
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06-09-2020, 12:44 | #1 |
Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Mi aveva colpito l’altro giorno un utente che disse che per stanare il gatto stavano usando il rinforzo+
Devo per forza fare un cappello altrimenti non si capisce di cosa stiamo parlando e parlo un momento di cani: L’educazione è la formazione dell’individuo, lo sviluppo delle sue facoltà mentali, sociali e comportamentali, e questo è in parte valido anche per i gatti L’addestramento è lo sviluppo e l’affinamento di particolari abilità mediante la pratica di una certa disciplina, e qui il gatto non c'entra niente. Si capisce benissimo che sono due cose completamente diverse, che hanno obbiettivi diversi. Ma su cosa si fondano realmente le varie differenze tra educazione e addestramento? Sono i metodi e gli approcci usati per educare o addestrare. Vorrei chiarire subito che etologicamente l’uomo viene gratificato nella competizione e appagato dalla vittoria, il cane invece viene appagato dalla sola competizione. Fatta questa premessa: Il metodo è un insieme chiuso di criteri, procedimenti e attività secondo cui si realizza il processo di insegnamento. L’approccio seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento e li riorganizza secondo uno schema utile al miglior apprendimento. Individua mete e obiettivi dell’insegnamento, genera uno o più metodi che ne realizzano l’applicazione nelle varie situazioni. La tecnica, invece, è un insieme più o meno coerente di mezzi, di materiali, di procedure, che può avere una finalità in sé e che può essere al servizio di metodi pedagogici diversi. Tra i metodi: Metodo tradizionale: questo è il metodo più antico. Basa tutto sui bisogni che l’uomo ha di controllare il cane e cercare di prevederne ogni reazione. Tramite la ripetizione di una azione in cui si utilizza il cibo come premio (meno spesso un gioco o una lode) per evidenziare un comportamento gradito e la punizione (corporale o psicologica) per far capire al cane che quel comportamento è sgradito. Questo training porta ad una standardizzazione dei comportamenti, e a supporto del metodo tradizionale si pone il behaviorismo, secondo cui la mente e i processi cognitivi non possono essere motivo di studio (la mente viene chiamata infatti scatola nera) e tutto quindi si basa sulle relazioni tra stimolo e risposta. Da qui nasce il condizionamento, ovvero il creare delle risposte usando degli stimoli, metodo antropocentrico Approccio cognitivo: l’approccio cognitivo nasce dall’esigenza di colmare le lacune del behaviorismo e considera la mente come un sistema complesso di regole per cui ogni soggetto non risponde ad una richiesta tramite un automatismo. Approccio zooantroplogico: nasce dalla necessità di mettere in primo piano la relazione tra uomo e animale individuando le differenze tra le due specie e facendone un punto di forza non di debolezza. Per l’approccio zooantropologico la comunicazione è un aspetto fondamentale e l’apprendimento avviene per consenso e non per controllo L’unione di queste due importanti visioni crea l’approccio cognitivo-zooantropologico. Nonostante l’approccio cognitivo-zooantropologico utilizzi come tecnica rinforzi positivi (quindi premi per lo più sociali) e punizioni negative (non nel senso sgradevole del termine ma semplicemente togliendo qualcosa che al cane piace, per esempio la nostra attenzione, quando fa qualcosa di non conveniente), si differenzia dagli altri proprio per l’importanza che si dà alla relazione e non al rapporto, alla comunicazione, alle motivazioni non solo di razza ma dell’individuo, alle emozioni e al rispetto dell’altro come parte integrante di un binomio dove non c’è chi è più importante dell’altro. Questo è per sommi capi come si utilizzano i rinforzi, non come veniva descritto nel thread Quel premietto/bocconcino, secondo me, era un’esca, nella migliore delle ipotesi veniamo bypassati per ottenerlo Il vero premio per ogni nostro gatto è riuscire ad orientarsi positivamente nell'ambiente in cui vive, quello è il vero rinforzo+, perché è una sua conquista P.S. scusate le sottolineature, i colori e i neretti P.P.S. ciò che ho scritto è tratto da un articolo di un educatore cinofilo SIUA, sta su Marchesini Etologia "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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08-07-2021, 18:45 | #2 | |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Sono nuovo del forum e stavo giusto cercando informazioni sull'addestramento dei felini domestici, e mi trovo a leggere questa perla:
Quote:
Un animale non si può educare, perché non ha una comprensione adeguata dei rapporti inter-specie e non ha una consapevolezza comparabile a quella umana. Nessun etologo, infatti, parla di educazione in relazione agli animali domestici o addomesticati. Non addestrare il proprio animale domestico significa rinunciare alle proprie responsabilità di umano che ha accolto quell'animale nella propria casa. |
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08-07-2021, 20:16 | #3 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Non ho minimamente le competenze di Aletto, ma non credo proprio che un gatto che, autonomamente e in relazione all'ambiente che lo circonda attui tecniche per ottenere cibo, coccole o anche solo di essere lasciato in pace sia un gatto addestrato.
Semplicemente, è un gatto che entra in relazione con una specie diversa dalla sua, ossia quella umana, quale che sia la sua consapevolezza delle differenze interspecifiche. Mi verrebbe da dire che tu confonda l'addomesticamento, che è un processo che va avanti da millenni, con l'addestramento, che con una convivenza sana con un gatto ha davvero poco a che fare. E con questo nessun intento aggressivo o polemico, ci mancherebbe :-) |
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08-07-2021, 20:19 | #4 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Ho visto adesso che il topic di Aletto era vecchissimo, chiedo scusa ai moderatori... Cancellate pure i miei interventi, se è il caso.
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09-07-2021, 09:37 | #5 | |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Quote:
ma hai ragione Riri. Inoltre non capisco se la parola “perla” sia usata in senso dispregiativo, comunque provo a spiegare ciò che non è spiegabile ad una mentalità behaviourista, ma forse vale la pena provarci premettendo che mi occupo di etologia cognitiva e quindi i ragionamenti sono diversi. Educare un gatto non significa insegnare a rispondere a dei comandi né cercare di indurre comportamenti desiderabili per noi ma avulsi dai suoi bisogni, (in questo periodo indurre la gatta con dermatite ad assumere comportamenti diversi con metodi che non è pronta a recepire, è inutile). Educare un gatto significa, prima di tutto, educare noi stessi a vivere con lui. Il mondo dei gattofili si divide tra chi ritiene che il gatto non possa o non debba essere educato e chi ritiene, invece, che si possa fare, che ce ne sia bisogno. Bisogno per chi? Innanzitutto per il gatto, per permettergli di avere una comprensione dell’ambiente consona alla sua specie, e per ottenere un risultato dobbiamo pensare all’educazione in termini diversi da quelli presi in considerazione dalla nostra specie per sviluppare la sua individualità, e trovare correlazione tra sé e il suo mondo esterno. E’ difficile? Sì. Rinforzi+ e rinforzi- Spesso si parla di tecniche basate sull'elargizione di premi e punizioni per insegnare questo o quel comportamento. Ma, soprattutto con un animale sensibile come il gatto, queste tecniche risultano fallimentari se vengono usate per indurre dei comportamenti che non sono in linea con i reali bisogni dell'animale. Gli animali non sono macchine sui quali è sufficiente pigiare i pulsanti giusti per ottenere le risposte volute. Il motivo per cui i gatti sembrano essere “ineducabili” è probabilmente legato al fatto che si è sempre preteso di farlo diventare “ubbidiente”: ogni volta che si adotta quest'ottica, avulsa alla mentalità felina, la risposta è il diniego. E tutto nasce dalla difficoltà di trovare una nostra spiegazione razionale, per cui insistiamo a comportarci con una razionalità estranea alla specie con cui abbiamo deciso di vivere. Non sono migliori di noi, non gli manca la parola. Sono un’altra specie, con altre necessità e propensioni specie specifiche che, per poter educare (ex ducere=tirar fuori ciò che non sappiamo di questa o quella specie) dobbiamo prima educare noi ad accettare la diversità. Per questo nessun etologo cognitivo parla di educazione in termini intesi dal senso comune, ma intende tirar fuori le motivazioni di specie compresse dall'educazione impartita da un'altra specie E se cit Bustrofedico: "un animale non si può educare, perché non ha una comprensione adeguata dei rapporti inter-specie e non ha una consapevolezza comparabile a quella umana.", lo stesso allora vale per noi che abbiamo una consapevolezza/percezione del mondo diversa dalle altre specie "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne Ultima Modifica di Aletto; 09-07-2021 at 09:39. |
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09-07-2021, 12:39 | #6 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Premessa: il concetto di educazione riferito ad un animale esiste solo nella lingua italiana (talvolta nella variante "addestramento educativo", che serve per lo più ad edulcorare il termine addestramento).
Non è un caso che io prediliga il termine inglese training, che definisce in modo più preciso ed eticamente neutro ciò di cui stiamo parlando. Si fa training ad un animale, ma anche un umano fa training per imparare un nuovo lavoro oppure per prepararsi ad una competizione sportiva. Il concetto di fondo è che l'obiettivo è mettere l'individuo (umano o animale che sia) in grado di rispondere ad esigenze che fino a quel momento non aveva avuto. Un animale domestic(at)o ha l'esigenza di interagire in modo positivo con quello che, volente o nolente, è il padrone di casa. Far finta che il rapporto tra i due sia paritario è ipocrita: l'animale dipende dall'umano per la sua sicurezza, il cibo, la salute, etc. Quindi, è l'umano ad avere la responsabilità di guidare l'animale. L'obiettivo del training è quindi indurre e consolidare nell'animale comportamenti idonei nell'ambito della famiglia che lo accoglie, con vantaggi per tutti. Un gatto che mi sveglia alle cinque del mattino perché vuole che riempia la sua scodella non è una compagnia per me piacevole, così come non lo è il gatto che salta sul mobile di cucina e ruba il cibo che sto preparando per la mia cena. Eppure entrambi i comportamenti sono del tutto razionali nell'ottica primaria del gatto, che stabilisce una relazione lineare tra azione e risultato ("sveglio il mio padrone e lui mette il cibo nella ciotola"). Per capirci, se ogni volta che ci sveglia noi ci alziamo e lo nutriamo, stiamo addestrandolo a ripetere quel comportamento, visto che è efficace. Fare training del proprio gatto significa inserirlo in un sistema di azioni e reazioni che lo inducano ad assumere i comportamenti che ci consentono una piacevole convivenza. Poi qualcuno si può anche - legittimamente - divertire ad insegnarli a sedersi a comando o a dare la zampa, ma questo non è il nocciolo del training. Questo significa talvolta contrastare gli istinti dell'animale? Certamente sì. Ma è una normale conseguenza del fatto che non è più un animale selvaggio, e che il suo sistema di riferimento non è il bosco o il prato ma una casa (ed il suo giardino, eventualmente). Non solo, si tratta di un'attività faticosa e che richiede impegno e coerenza. La cosa peggiore che possiamo fare è dare segnali contrastanti all'animale, che ha invece bisogno di sapere con certezza che ad una certa azione corrisponde una ricompensa o una mancata ricompensa (il rinforzo negativo è inefficace con gli umani, figuriamoci con gli animali). Quello che ho però spesso notato nei possessori di gatti è un certo compiacimento per la "non addestrabilità" dei gatti. Chi ama i gatti è spesso attratto dalla percezione di autonomia dell'animale, e considera qualsiasi training come snaturante. Troppe volte mi trovo in case dove un gatto decisamente molesto viene tollerato "perché è un gatto", esattamente come i bambini maleducati sono tollerati "perché sono bambini". |
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09-07-2021, 13:11 | #7 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Chiedo per capire: qual è il comportamento felino che tu definisci molesto?
Per quanto mi riguarda, se la mia gatta chiede di mangiare alle 5, mi alzo eccome. Non sarà piacevole, ma avere un animale domestico implica anche sottostare a orari e ritmi che non sono soltanto i miei. Per quel che riguarda il salire sul tavolo e sui fornelli, certo io posso impedirglielo, ed è una cosa che alla mia gatta non è permesso fare. Ma sono benconsapevole che in mia assenza probabilmente salirà sul tavolo, perché è un animale abituato ad avvalersi della terza dimensione e, per quanto non mi sia gradito, io non posso impedire che succeda. Direi che questo è molto lontano dall'essere addestramento. Per inciso, il termine addestramento non mi infastidisce affatto, ma viste le caratteristiche del gatto lo trovo assolutamente inapplicabile alla specie. |
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09-07-2021, 15:51 | #8 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Su una cosa Bustrofedico ha ragione:
il più delle volte la relazione con l’eterospecifico è asimmetrica perché l’essere umano ha maggiore titolarità nello scegliere la tipologia dell’incontro, le attività di interazione ecc. La nostra motivazione epimeletica è talmente forte da improntare la relazione principalmente su questo ambito, impedendo di abbattere la barriera transpecifica e impedendo quindi di attribuirne un valore. Assieme alle altre nostre motivazioni più comuni, ludica, estetica, collaborativa ed epistemica è quella che si manifesta più spesso. Mentre non noto coinvolgimento, capacità introiettiva, rispetto dell’alterità, complicità, valorizzazione dell'altro. Cit: “Un animale domestic(at)o ha l'esigenza di interagire in modo positivo con quello che, volente o nolente, è il padrone di casa. Far finta che il rapporto tra i due sia paritario è ipocrita: l'animale dipende dall'umano per la sua sicurezza, il cibo, la salute, etc. Quindi, è l'umano ad avere la responsabilità di guidare l'animale.”: siamo noi a voler questo tipo di relazione. Il gatto domestico si è filogeneticamente affiancato all’uomo per altri motivi, non ne è dipendente. Cit: “Per capirci, se ogni volta che ci sveglia noi ci alziamo e lo nutriamo, stiamo addestrandolo a ripetere quel comportamento, visto che è efficace.” E se così non fosse? E se il gatto volesse semplicemente instaurare un rituale? Alcuni rituali si possono chiudere, ma non quelli che minano il benessere e la fiducia di chi abbiamo costretto a vivere recintato. Cit: “Quello che ho però spesso notato nei possessori di gatti è un certo compiacimento per la "non addestrabilità" dei gatti.” E se fosse che in realtà non ci interessa un addestramento o training? Come non interessa a moltissimi altri animali, gatto incluso, non apporta nessun arricchimento necessario alla sopravvivenza di un solista quale è. A me personalmente per es, un cane obbediente, reso obbediente, educato nella vita di casa mentre vorrebbe fare tutt'altro, fa un po' pena. Ma qui bisogna vedere la relazione con il suo umano di riferimento prima di dare giudizi. Intuisco in quello che scrive Bustrofedico che l'altro animale è visto come oppositivo all'uomo, quando secondo me non è la via giusta per una buona relazione. Ma potrei sbagliarmi. "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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09-07-2021, 17:00 | #9 |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Intanto, grazie ad Aletto per la stimolante discussione, nonostante abbiamo visioni piuttosto diverse.
Mi sembra che entrambi conveniamo sul presupposto della relazione tra uomo e animale: è il primo ad imporla al secondo. La convivenza rappresenta per noi un'utilità (nel senso che migliora la nostra condizione, materiale o emotiva), e siamo ovviamente disposti ad un costo. La relazione è quindi asimmetrica, e priva alla base l'animale della gran parte delle sue prerogative individuali e di specie. Mi riferisco alla generalità degli animali, tra i quali il gatto. Il quale, pur avendo un'etologia diversa dal cane o dal cavallo, condivide con gli altri mammiferi alcuni elementi comportamentali di fondo. Ecco, a me sembra che in qualche modo si voglia "restituire" al gatto la libertà della quale lo si priva attraverso un'ampia condiscendenza rispetto ai suoi comportamenti sgraditi per i suoi conviventi umani. Insomma, mi sembra un approccio un po' ipocrita. Ti chiudo in carcere, ma poi ti lascio l'ora d'aria. Trovo molto più onesto l'approccio di chi sostiene che l'animale, in cambio di una serie di vantaggi (protezione, nutrizione, etc.) sia chiamato a desistere da comportamenti che minano la serena convivenza. Questo, come ho già accennato, non significa imporre pratiche ridicole o del tutto incongrue rispetto alla natura dell'animale. L'ipotesi che il gatto possa stabilire consapevolmente rituali propri mi sembra quanto meno azzardata e non ho notizia di una tesi scientifica al riguardo. Sarei ovviamente pronto ad essere smentito. Allo stato delle conoscenze attuali, direi che nell'animale ciò che noi leggiamo come rituale è la semplice ripetizione di un atto efficace in termini di risultati. |
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09-07-2021, 18:15 | #10 | |
Re: Rinforzo positivo (rinforzo+)classico: serve al gatto?
Quote:
La mente animale è sorprendente, le loro emozioni hanno gli stessi nostri neurotrasmettitori e in caso di stress prolungato il feedback negativo del cortisolo anche a loro va in tilt "Quando mi trastullo con la mia gatta chissà se essa non faccia di me il proprio passatempo più di quanto io faccia con lei" Montaigne |
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